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Giuliana Lojodice e Giuseppe Pambieri in “La professione della signora Warren”

fotoÈ una delle prime opere di George Bernard Shaw, scritta in piena epoca vittoriana, e censurata per oltre trent’anni, per denunciare l’ipocrisia, le contraddizioni e il profondo maschilismo di una società di benpensanti e moralisti. Il regista Giancarlo Sepe, reduce dal recente successo al Festival di Spoleto 2014 con lo spettacolo The dubliners di James Joyce, sceglie La professione della signora Warren per approcciarsi per la prima volta al grande drammaturgo irlandese e porta sul palco vecchi e nuovi nomi della scena teatrale italiana, tutti di prim’ordine. Protagonisti della storia e della scena sono Giuliana Lojodice, con la sua grinta (ha dichiarato in un’intervista: “Gli attori sono animali. Si odorano. Io sono una leonessa”), con il suo nobile portamento e la sua voce bassa, calda e sensuale nel ruolo della signora Warren, e, nel ruolo della figlia, Federica Stefanelli, fisico da ballerina e capacità attoriali tali da tener testa a quelle dei grandi nomi dei suoi compagni di palcoscenico. Accanto a loro, infatti, c’è anche Giuseppe Pambieri, con tutto il suo grande bagaglio teatrale, perfettamente a suo agio nei panni del baronetto senza scrupoli Sir George Crofts. L’opera parla della professione più vecchia del mondo, che l’autore non nomina mai esplicitamente e che la signora Warren, per sfuggire alla povertà, ha svolto fin da giovane in gran segreto, anche all’insaputa della figlia, la signorina Vivie, cresciuta lontana dalla madre negli agi di una vita ricca inconsapevolmente garantita dalle rendite del lavoro materno. Attorno alle due donne si aggirano meschini individui adulatori, compreso un reverendo dal passato da latin lover, spinti solo da motivi arrivistici e utilitaristici, e un artista colpevolmente sprovveduto. Tutti desiderano le due donne, per carpire da una la giovinezza governata da saldi principi morali e dall’altra un’alta rendita economica derivante dalla gestione di numerose case di piacere sparse in tutta Europa. Grazie ai dialoghi costruiti da Shaw su un solido impianto retorico, reso piacevolissimo anche dallo humor dell’autore che pervade tutta l’opera, lo spettacolo riesce a divertire e far pensare, soprattutto ad essere ancora attualissimo nei temi. Shaw, senza prendere le difese di nessuno dei suoi personaggi, fa scontrare due modi di pensare: quello della signora Warren, improntato al facile guadagno ma sorretto anche dalla fierezza della consapevolezza di non essere stata schiacciata dalla povertà e dallo sfruttamento che avevano caratterizzato i suoi primi anni giovanili, e quello di sua figlia, altrettanto fiera di non essere diventata schiava delle convenzioni sociali che la vogliono a tutti i costi sposata e lontana dalla strada dell’indipendenza economica grazie ad un onesto lavoro frutto dei suoi alti studi in matematica. Le due donne, tra accesi dibattiti e teneri abbracci, si mettono a nudo, come a nudo è il teatro non totalmente schermato dalla scenografia di Carlo de Marino. La commedia, che fa parte di quelle cosiddette “sgradevoli”, è un valido esempio della drammaturgia di George Bernard Shaw che vinse il Nobel per la letteratura nel 1925 proprio per “il lavoro intriso di idealismo ed umanità la cui satira stimolante è spesso infusa di una poetica di singolare bellezza”. Se uno spettacolo, già così interessante per i temi affrontati, viene poi interpretato da veri attori di teatro, che sanno dosare alla perfezione gesti delle mani, incrinature della voce e slanci drammatici, è chiaro che gli applausi a fine serata non possono che essere scroscianti. Tutti, Giuliana Lojodice, Federica Stefanelli, Giuseppe Pambieri, Pino Tufillaro, Roberto Tesconi e l’altro interessante attor giovane Fabrizio Nevola, dimostrano di possedere registri comici e drammatici e di avere saldamente in mano i propri personaggi e perciò meritano lo stesso entusiasmo da parte della platea che sa ben riconoscere interpretazioni senza sbavature.

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