venerdì, Marzo 29, 2024

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“Dopo la prova” e “Persona” di Ingmar Bergman

fotoIvo Van Hove, olandese di adozione, regista fra i quotati della scena europea, ha trasferito sulle scene due celebri film di Ingmar Bergman Dopo la prova” e “Persona” in un unico spettacolo presentato ieri sera al Piccolo Teatro Strehler. La ragione del dittico, dice il regista, è la convergenza dei due testi “sul significato del teatro e dell’arte nelle nostre vite e nella società in cui viviamo”.

Nell’atto unico “Dopo la prova” un anziano regista Henrik Vogler, alle prese per l’ennesima volta nella sua carriera con la messa in scena de “Il sogno” di August Strindberg, al termine di una prova viene raggiunto sul palcoscenico da Anna giovane attrice della compagnia la cui madre (morta suicida) è stata famosa attrice e amante del regista. I due iniziano a parlare della commedia, ma la realtà si stempera nei ricordi della madre e nella carica di seduzione e di reciproca attrazione. Ma ora la madre, quasi materializzandosi entra in scena cerca inutilmente di coinvolgere Henrik e, dai dialoghi fra i tre personaggi emerge poco a poco un complesso intrico di passioni e pulsioni incrociate. I tre si parlano e si raccontano passando tra paure adolescenziali e riflessioni sulla vecchiaia desideri mai consumati e drammi già vissuti. È attraverso questo strano gioco che si delinea una vicenda ambigua, disperata in cui è in gioco l’intera sfera affettiva di un personaggio vittima della sua stessa coscienza. La pièce è un continuo rimando tra finzione e realtà, tra teatro e vita. È un viaggio tormentato nella psicologia dei personaggi che, in un unicum, si intrecciano odio, amore, commozione e sentimento.

Il titolo della seconda pièce “Persona deriva da dramatis personae, il termine per definire maschera indossata dall’attore (e quindi il personaggio) nel  teatro latino.

Intorno a uno scambio di identità fra un’attrice perseguitata da accessi di follia e l’infermiera che la cura, Bergman ha costruito una delle sue opere più inquietanti che si spalanca a tratti sulle profondità di un inconscio appena intravisto. La storia. L’attrice Elisabeth Vogler, durante la rappresentazione teatrale dell’Elettra, si blocca improvvisamente, presa da un compulsivo istinto di ridere. In seguito si chiude in un assoluto mutismo. Ricoverata in un ospedale psichiatrico, viene riconosciuta sana, non soffre di afasia, ha coscientemente deciso di non parlare.

Per farla uscire da questa condizione, la dottoressa le affianca un’infermiera personale, la giovane Alma, e le propone di trascorrere un periodo di riposo e recupero nella sua casa in riva al mare. Lì, nel completo isolamento, matura uno strano rapporto esclusivo tra le due donne: mentre Elisabeth continua a mantenere il silenzio, Alma si apre completamente a lei e nei lunghi, intimi racconti di vita privata, che comprendono la confessione di un’esperienza sessuale di gruppo, invece di scuotere la paziente dalla sua apatia, finiscono per creare una sorta di sovrapposizione di identità fra le due (anche Elisabeth nasconde un pesante segreto, quello di una maternità indesiderata, forse fra le cause del suo attuale stato). Quando però Alma scopre che Elisabeth ha rivelato in una lettera tutto ciò le ha raccontato, la loro relazione affettiva si spezza; la aggredisce, poi se ne pente, quindi ritrova un sufficiente controllo per tornare nel proprio ruolo professionale. Le due donne abbandonano separatamente la casa al mare e ritornano in città.

Fra le due si è creato un rapporto progressivamente morboso che porterà alla trasmutazione di un personaggio nell’altro, l’io delle due donne si dissolvono tra luci e ombre in un gioco di doppia lettura spirituale e materiale. In questo dramma scarno Bergman indaga l’animo umano nelle sue tensioni, nei suoi più remoti recessi, negli strati profondi della psiche bidimensionale.

Semplicemente eccezionali le interpretazioni degli attori: Marieke Heebink, Frieda Pittoors, Gijs Scholten van Aschat, Gaite Jansen. Molto belle e funzionali le scene e le luci di Jan Versweyveld, il suono curato da Roeland Fernhout, i costumi di An D’Huys. Perfetta la regia di Ivo van Hove. La drammaturgia è curata da Peter van Kraaij.

Produzione Toneelgroep Amsterdam in coproduzione con Théâtre de la Place (Liège), Théâtres de la Ville de Luxembourg, Maison des arts de Créteil in collaborazione con Auteursbureau ALMO Bvba
commissionata da Josef Weinberger Ltd, London e Ingmar Bergman Foundation

Versione originale olandese con sovratitoli in italiano e in inglese

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