venerdì, Aprile 19, 2024

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I custodi dell’anima

di Roberto Melchiorre

allestimento di “Arti e Spettacolo”

regia di Giancarlo Gentilucci

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Sarà lo straordinario Parco del Castello Cinquecentesco dell’Aquila a fare da palcoscenico – sabato 1° agosto alle ore 21,30 – ai Custodi dell’anima, dramma scritto da Roberto Melchiorre e messo in scena, nell’ambito della manifestazione “I cantieri dell’Immaginario”, da Giancarlo Gentilucci. Ancora una volta i due artisti hanno deciso di collaborare per sviscerare ulteriormente – dopo l’esperienza de Il melo selvatico (2013) – il tema della lacerazione sociale e culturale di un territorio all’indomani di una catastrofe come quella che ha colpito il capoluogo abruzzese. Essi ritengono, infatti, che continuare a raccontare L’Aquila, insistere nell’analisi delle questioni poste dalla distruzione/ricostruzione, soffermarsi a riflettere sulle lacerazioni sociali che hanno devastato questa città, non solo si può ancora fare, ma si deve. A una condizione però: che vengano dette tutte le verità, anche le più spiacevoli, soprattutto le più spiacevoli. Se così non fosse, pur con le migliori intenzioni, si farebbe il gioco dell’ipocrisia celebrativa, dello scaricabarile seriale, del localismo degenerativo e del vittimismo rituale. “E’ arrivato – afferma Gentilucci – il momento di non fare più sconti ai quei comportamenti che hanno facilitato il compito di chi ha strappato l’anima alla città. Per denunciare tutto ciò la poesia e il teatro, da sempre, rappresentano lo strumento più efficare e corrosivo”. E’ per questo che – continuando il discorso iniziato appena dopo il sisma con una serie di rappresentazioni – “Arti e Spettacolo” ha deciso di mettere in scena un’altra puntata di una sorta di processo d’autoanalisi di una comunità che fa i conti con contraddizioni e verità spesso indicibili. Il dramma di Roberto Melchiorre – scrittore e drammaturgo felicemente prigioniero di modelli classici, da Euripide a Shakespeare – ha offerto a Gentilucci – regista di grande esperienza, sempre sensibilissimo a nuovi linguaggi e a continue contaminazioni di genere – la possibilità di rappresentare un autentico dramma popolare, nel senso di un popolo che si interroga su se stesso, sulle proprie contraddizioni, sui propri fallimenti e sulle possibilità di un riscatto. Una messa in scena che fa quindi della coralità la sua cifra decisiva. Sono, infatti, le voci – e le musiche originali del maestro Sandro Paciocco – le protagoniste dello spettacolo. “Voci che – afferma Melchiorre – rapprensentando il conflitto che muove le componenti della comunità, raccontano la faticosa ricerca di ciò che sola dà senso e identità a una città: la sua anima. Un’anima che, nella scena finale del dramma, prende forma attraverso i simboli della cultura e dell’arte, uniche speranze, per un popolo dilaniato, di ritrovare sia l’unità sia una speranza autentica nel futuro”.

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