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Maurizio Tamellini: sensibilità artistica e professionalità al servizio della grande Danza

fotoCarissimo Maurizio, come ti sei avvicinato alla danza e qual è stato il tuo percorso artistico?

In realtà è stato lo studio del disegno e della scenografia che mi avvicinarono all’arte della danza. A Verona, mio padre Domenico mi iscrisse al C.E.A. Era una scuola dove le materie artistiche erano sperimentali. Mi iniziò al corso di pittura, con il professore Luigi Scapini, un pittore e un personaggio pieno di energie e motivato artisticamente. Un giorno ci invitò a scendere nel seminterrato della scuola dove c’era una palestra in cui si svolgevano dei corsi di danza. L’insegnante era Loredana Venchi, la mia prima maestra di danza classica. Iniziammo a disegnare, come faceva Degas… Fu subito amore a prima vista! Da quel momento la mia vita ebbe una drastica e positiva svolta.

Cosa è riuscita a regalarti la danza?

La danza è riuscita a regalarmi il mio modo di essere, scoprire la mia vera natura, l’incontro con me stesso. Questa nostra natura ci impone dei grandi sacrifici, siano essi fisici che familiari e anche in maniera molto diretta. È un modo di vita che ci insegue. Ho provato a cambiare, sempre nel campo artistico ovviamente, ma sono sempre rientrato nel mondo della danza ancor più prepotentemente, senza accorgermene. Quest’arte ci insegna molto, dal “savoir faire”, alla gentilezza, all’amore per il bello e ci regala emozioni e momenti di enorme intensità, entusiasmo e di riconoscenza che il pubblico ti sa sempre ricompensare.

Quali sono le doti maggiori per diventare dei grandi danzatori?

Sicuramente l’umiltà. Sembrerebbe scontato, ma questa prerogativa è fondamentale. Fiduciosi nell’insegnante e pronti ad apprendere i segreti del palcoscenico. La grande forza di volontà e di sacrificio. Abbiate la voglia, non solo di danzare, ma di rimanere in un ambiente artistico. Noi danzatori facciamo una delle professioni più belle ed invidiabili che una persona possa desiderare.

Parlaci della tua esperienza formativa presso la prestigiosa Accademia Nazionale di Danza a Roma?

La mia esperienza all’A.N.D. di Roma è stata una tappa fondamentale per la mia carriera. La mia prima e vera scuola accademica professionale. Ricordo ancora con affetto le mie due insegnanti, Caterina Commentucci e Anna De Angelis. In quegli anni le danzatrici iscritte all’Accademia erano più di 900. I maschi solamente in due. Il sottoscritto e Massimo Acri.

Hai avuto come direttrice all’Accademia Giuliana Penzi, come la definiresti dal punto di vista professionale e umano?

Giuliana Penzi era una danzatrice, una grande Signora della danza, sensibile e gentile. Sicuramente un po’ dura e severa, ma erano anni in cui la disciplina era sempre ai primi posti. Mi ha aiutato molto, mi ha concesso la prima Borsa di studio negli anni 1975/76. Mi ha mandato anche all’Accademia del Costume e di Moda a fare il modello per contribuire al mio mantenimento economico all’Accademia. Insomma, una mia seconda mamma.

In seguito sei entrato nei “Ballet Classique de Paris”, che aria si respirava in quella storica Compagnia?

Questa compagnia privata di danza aveva una grande storia alle spalle. Jaquelin Jacquet era la Direttrice e l’étoile della compagnia. Aveva una tecnica formidabile. La danza nel 1979 era al culmine, soprattutto in Italia. In Francia svettava sempre l’Opéra. Era il mio sogno poter entrare in quella compagnia. Allora si poteva accedere solamente se si vinceva il “Concorso di Varna”. Ogni anno si preparava un balletto di repertorio per poi portarlo in tournée in Europa del nord, nel periodo natalizio. Abbiamo montato il “Lago dei Cigni” di e con N. Beriozoff in un mese, presso una scuola dietro al Moulin Rouge a Parigi. In tournée facemmo 94 spettacoli in 98 giorni. Un’esperienza unica e affascinante.

Poi è stata la volta del Corpo di Ballo della Scala e lì hai trascorso tra spettacoli in teatro e tournée gli anni più intensi come danzatore? Quali ricordi conservi di quel periodo?

Sono entrato alla Scala nel 1980. Erano gli anni di maggiore espansione della danza. Anni pieni di vigore e di vivacità artistica. Provenivo dal “Comunale” di Firenze e la Scala era per me una meta. L’Italia vantava i migliori danzatori, da Paolo Bortoluzzi, Amedeo Amodio, Roberto Fascilla (poi passato alla coreografia e Direttore in molti teatri italiani), Luciana Savignano, Anna Razzi, Liliana Cosi, Carla Fracci, Oriella Dorella, Raffaele Paganini. Poi Davide Bombana, Marco Pierin, Maurizio Bellezza, Renata Calderini e Anna Ferri. Siamo andati in tournée a New York, Argentina, Brasile, Canada, Giordania, Egitto, Malta. Grandi successi con splendidi balletti di repertorio. Anni splendidi…

Secondo te, che l’hai vissuto in prima persona, che emozioni suscita danzare sul palcoscenico del Teatro alla Scala? È paragonile agli altri teatri o si percepisce qualcosa di diverso?

La Sala del Piermarini è un Teatro davvero strano, vederlo dall’esterno non è impotente come gli altri Teatri del suo periodo, si scopre pian piano, ci si innamora e ci si sente a casa, che dire… Io ci sono “vissuto” per quasi 30 anni ed è uno dei pochi Teatri che ancora oggi mi fanno emozionare.


Poi hai sposato, la cara amica, dotatissima e bellissima ballerina del Corpo di Ballo della Scala, Katya Pianucci e anche vostra figlia, Susanna, attualmente frequenta la Scuola di Ballo della Scala diretta dal maestro Fredéric Olivieri… siete una famiglia nata per la Danza! È stato un caso o il destino vi aveva già predestinato all’arte tersicorea?

Sono stato davvero fortunato. Katya è stata un’ottima e bellissima ballerina, con una grande tecnica. Ricordo che quando ero in corpo di ballo, lei era ancora in Scuola di ballo, con l’allora direttrice Anna Maria Prina. Io andavo a vedere le sue lezioni da dietro la porta. Tornavo e dicevo ai miei colleghi: c’è una ragazzina con delle gambe lunghissime e bravissima. Andate a vederla!! Poi il destino… Sono felice che mia figlia Susanna abbia intrapreso la nostra professione. Lei è nata in teatro e per molti anni era diventata la mascotte della compagnia. Ricordo che a mio padre piaceva la musica, mio nonno paterno suonava la fisarmonica. Da parte della famiglia di mia madre, Santa, nessuno aveva precedenti artistici e mia sorella, Maria, non ha seguito la mia strada artistica. Ho un fratello, Roberto, che era danzatore. Aveva danzato in grandi teatri e compagnie italiane con molto successo. Poi ci fu una svolta… è sacerdote da quasi vent’anni!

Con quale coreografo hai amato maggiormente lavorare per intensità, capacità e creatività?

In particolare nessuno. Ho trovato in molti invece tanta spontaneità. Tutti avevano un loro linguaggio, una visione della danza davvero particolare. Mi è piaciuto lavorare, oltre a quelli citati, con Robert North, Elisa Monte, Hans van Manen, Alvin Ailey, Evgheni Polyakov e Rudolf Nureyev: un mio grande amico, geniale e spericolato.

E con quale danzatrice?

Luciana Savignano è stata ed è un’étoile con cui ho avuto per la danza, un rapporto priviligiato. Abbiamo danzato moltissimi balletti, da “Yerma”, a “Le Marriage of Heven and Hell” di Roland Petit, il “Mandarino Meraviglioso” e tante altre celebri creazioni… Luciana è stata una danzatrice con cui potevi sentirti completamente a tuo agio. Eclettica e assai duttile, con un fisico invidiabile.

Hai anche fatto parte nella tua lunga carriera di successi, in qualità di solista, anche del “Ballet National de Marseille”?

Ricordo la sala ballo, l’unica nel “Museo de Beau Arts”, a Place Carli. Era una sala prova in attesa della nuova sede della compagnia marsigliese. Una sala ballo dove si respirava danza dalle 10 del mattino fino alla sera tardi, senza orari. Veniva spesso l’indimenticata Zizì Jeammaire a fare le prove dei suoi spettacoli a Parigi. Grandi étoile come Denis Ganio, Dominique Khalfouni, Patrick Dupont e molti altri. Poi Roland ci invitava a pranzo tutti insieme. Una grande famiglia. Great Time!!

Raccontaci com’era lavorare in sala danza e sul palcoscenico con il grande coreografo, un mito della danza mondiale, Roland Petit?

Lavorare con Roland è stata per me una grande esperienza artistica e di vita. Persona alquanto volubile, ma con una grande forza interiore. Personaggio con un alto senso artistico e una enorme e invidiabile cultura. Ha sempre cercato singolarmente nei suoi ballerini l’energia e la personalità. Assai propenso alla battuta con un grande “sense of humor”.

Dei ruoli solistici che hai interpretato, in quale ti sei rispecchiato di più?

Di tutti i ruoli che ho interpretato in 36 anni di carriera in sei compagnie, sono stati tantissimi. Mi sono rispecchiato in parecchi, da Tebaldo, a Zampanò, dall’Orco nello Chat bottè di Roland Petit, da Troy Games, nei Partigiani nell’Uccello di fuoco, da Design for Four, da Rothbart nel Lago dei Cigni, da Five Tango’s ecc. Li ho amati tutti.

Lo spettacolo di danza che ricordi con maggiore pathos al quale hai assistito in veste di spettatore?

Lo spettacolo più emozionante è stato assistere, nel lontano 1974 al Teatro alla Scala, dove in cartellone c’era “Excelsior”. Andammo a vederlo con la mia maestra Loredana Venchi, ospiti del direttore d’orchestra Enrico de Mori. Danzava Paolo Bortoluzzi. Un bellissimo ricordo, indelebile, che ancora oggi conservo nel mio cuore.

Nel tuo repertorio, il ruolo che hai interpretato e danzato che ricordi ancora con soddisfazione e orgoglio?

Sicuramente è stato il ruolo di Tebaldo, danzato alla Scala con la coreografia di John Cranko. Ruolo splendido ed affascinante per carattere e fedeltà storica. Poi Zampanò nella “Strada” di Mario Pistoni. Ricordo ancora l’emozione nell’ultimo quadro quando la disperazione di lui lascia il posto al rimpianto e alla solitudine.

Attualmente sei anche Direttore di una istituzione storica: il “Teatro Alfieri” di Castelnuovo di Garfagnana?

Questo è il quinto anno che sono in carica come Direttore Artistico del settore Danza. Avere a disposizione un Teatro ottocentesco con tre ordini di palco, con una capienza di 504 posti e 2 sale ballo è per me un vanto e una sfida. È il Teatro più importante della Valle del Serchio e l’unico in questi due anni ad avere una propria Stagione di Danza in tutta la provincia di Lucca. Un Teatro di grande tradizione d’operetta nel tardo Ottocento, magnifico, situato in un punto strategico della città. Aperto alle idee e a tutte quelle persone che vogliono adoperarsi per il rilancio della Danza con la “D” maiuscola.

Hai un desiderio o un sogno legato alla danza che vorresti realizzare?

I sogni legati alla danza fanno parte di me. Ne ho tantissimi, certo. Forse i sogni hanno un’orizzonte molto più ampio al quale io aspiro. I desideri pure. Però la mia carriera l’ho vissuta molto bene, piena, soddisfacente e felice. A breve mi rimetterò in discussione con la Danza a Milano. Una sfida con me stesso, ma non ho ambizioni particolari. Certo, mi arrivano tantissime proposte di lavoro e ne sono felice. Mi godo quello che ho, tutto il resto è un bellissimo regalo.

A quali ballerini del panorama italiano e internazionale attuale riconosci l’eccellenza?

Riconosco l’eccellenza nell’attuale panorama internazionale ai danzatori russi, alla loro bellissima e invidiabile scuola. Danzatrici/ri come S. Zakharova, P. Semionova, O. Novikova, L. Sarafanov e molti altri… Roberto Bolle, star internazionale. Anche molti giovani danzatori/ci italiani hanno poco da invidiare alle nuove stelle sul mercato internazionale.

Danza classica e danza moderna possono convivere di pari passo?

Sì, convivono benissimo. Il 90% dei passi moderni hanno i nomi dei passi classici. L’approccio alla danza parte sempre dalla base classica accademica e poi si sviluppa. Non potrebbe esistere la danza moderna senza la danza classica. Loie Fuller, Isadora Duncan e Ruth Saint-Denis sono state tre grandi coreografe americane della danza moderrna. La danza accademica in quegli anni era al suo massimo splendore. Essa era spirituale, eterea, la danza moderna era più fisica e materiale. Molti linguaggi hanno influenzato notevolmente tutti gli stili di danza, specialmente in questo nostro periodo.

Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore dovrebbe possedere per diventare degno di questo nome?

Le qualità necessarie sono, a parer mio, avere una buona base accademica, aver danzato in compagnie professionali, almeno per qualche anno e conoscere i vari stili di danza. Possedere un solido repertorio ed essere consapevoli che gli allievi sono persone e non solamente numeri. Donare realmente i propri segreti per arricchire gli allievi di strumenti per la loro crescita professionale. Questo dovrebbe essere la partenza per avere un livello professionale e competitivo.

Cosa pensi della danza in Italia? Abbiamo molti talenti, ma spesso non trovano gli sbocchi appropriati…

La Danza in Italia è in mano a pochi che fanno veramente bene, ma senza un apporto di solidità manageriale da parte degli Enti. Tante mie colleghe Direttrici di importanti Accademie di Danza, nei maggiori Teatri italiani, hanno fatto dell’ottimo lavoro e lo stanno facendo ancora adesso, come Anna Razzi per 25 anni alla Scuola di ballo del Teatro di San Carlo di Napoli fino a pochi mesi fa. La Danza in Italia è una grande realtà e penso che tra non molto l’Italia tornerà allo splendore che con la Danza le apparteneva nel Settecento.

Oggigiorno nel mondo della danza molti si improvvisano anche perché non c’è nulla che regolamenti l’arte coreutica e soprattutto l’insegnamento. Cosa ne pensi?

Cosa posso dire… Se nulla è regolamentato non vedo il problema. Fosse il contrario capirei, ma visto che da noi tutti insegnano, diplomati o no, metodi personali di danza accademica e molti altri linguaggi del corpo, non mi meraviglio affatto che non ci sia ancora qualcuno che metta un regolamento. Per quanto mi riguarda io insegno quello che i miei maestri in tutta la mia carriera mi hanno insegnato e penso che funzioni abbastanza bene ancora adesso.

Se non avessi scelto di fare il danzatore quale altra professione sarebbe stata ideale per te?

Una non mi sarebbe bastata!

Il maggiore ostacolo che hai incontrato nel corso della tua carriera?

La falsità nelle persone.

Hai qualche rimpianto?

Tutti noi ce li abbiamo, anche e soprattutto quelle persone che non lo ammettono… Rimpiangere cose che non si è potuto fare è un po’ riduttivo. Qualcuno diceva che è bellissimo ricordare, ancor più dimenticare!

L’errore da non ripetere, se mai ce ne fosse stato uno?

Ne ho fatti talmente tanti, che se mai ce ne fosse stato uno, almeno sarei riuscito a contarlo!

Spesso io e te siamo stati insieme giurati in Concorsi Nazionali e Internazionali di Danza; trovi che questo tipo di manifestazioni siano utili per la crescita professionale e artistica dei giovani allievi sia a livello amatoriale sia a livello professionale?

Certamente, i Concorsi sono una bellissima realtà di confronto e formazione. Però penso che questi dovrebbero nascere già di per sé con un livello un po’ più professionale. Ci sono troppi Concorsi di Danza improvvisati a discapito della qualità. Senza ombra di dubbio sono anche molto utili, forniscono una possibilità in più per favorire uno spazio per i danzatori di esibirsi sopra un vero palcoscenico, davanti a un pubblico e non solamente in una comune sala di danza.

Lo specchio è uno strumento fondamentale per un ballerino. Che cosa rappresenta per te questo oggetto?

Non so quanto possa essere fondamentale, ma sicuramente è utile per affinarci e correggere le posizioni, ma è fine a se stesso. Per me rappresenta sempre una particolarità.

Che ruolo gioca l’alimentazione per un danzatore? Segui una dieta particolare?

Il nostro corpo è il nostro attrezzo che usiamo tutto il giorno, non ne abbiamo un altro di riserva. Dobbiamo tenercelo stretto e volergli bene. L’alimentazione è alla base di questa nostra attività. Fortunatamente io non seguo nessuna dieta, anzi, non l’ho mai messa in conto e a casa mia le diete non sono mai state partecipi del nostro regime alimentare.


Hai ballato in tutti i Paesi del mondo. Il pubblico è differente? Quale teatro ricordi maggiormente per bellezza, organizzazione e accoglienza…

Il pubblico europeo si assomiglia moltissimo, ma non posso dimenticare il rispetto che i giapponesi hanno verso gli artisti e l’arte, soprattutto italiana. Ricordo la compostezza del pubblico giapponese a fine spettacolo al “Bunka Kaikan” di Tokyo e anche per la loro maniacale organizzazione. Per la bellezza del Teatro penso sia il “Teatro San Carlo” a Napoli, il più antico Teatro italiano.


Quali emozioni provi ad insegnare in Sala danza o durante gli stage ai futuri danzatori?

Diciamo subito che dipende molto dalle persone che hai davanti. L’energia che si sprigiona in una lezione di danza è tantissima e dipende anche da vari fattori e le emozioni sono molteplici. Una tra tutte la consapevolezza che si ha davanti delle persone che vogliono soprattutto imparare.

Negli ultimi tempi i danzatori maschi sono più atletici, oserei dire dei ginnasti. Sei d’accordo?

Sì. La preparazione atletica è notevole e i fisici sono molto cambiati negli ultimi anni. Tutto si evolve, inoltre si è ampliato il bacino di utenza delle conoscenze artistiche. Molte discipline si sono fuse insieme e i risultati sono evidenti. Insomma, la danza è cambiata moltissimo.

Descrivi brevemente il tuo concetto di danza?

Una moltitudine di bellezza, tanta armonia e infinita sensibilità artistica.

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