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Un coperto in più

Foto di Federico Riva
Foto di Federico Riva

Scritta da Maurizio Costanzo nel 1972, ambientata all’epoca e portata in scena dai fratelli Giuffrè riunitisi per l’occasione, la frizzante commedia viene ora ripresa rispettando il testo peraltro di sconcertante attualità vista l’attuale temperie economica che ha sviluppato in modo esponenziale l’arte di arrangiarsi vivendo di espedienti, ‘professione’ in cui sguazza alla grande Camillo Dolci, imbroglione di infima serie validamente interpretato da Maurizio Micheli – attore livornese di grande preparazione e professionalità – che ne fa un compito signore, ancorché con gli abiti consunti, una morale tutt’altro che adamantina e un numero di scrupoli vicino allo zero.

Il nostro antieroe mentre tesse uno delle sue operazioni di ‘spennaggio polli’ capita in casa del gioielliere Alfredo Di Sarno, impersonato con un’aria tra l’ingenuo e il complessato, ma non così sprovveduto come può di primo acchito sembrare dal bravo Vito – nome d’arte di Stefano Bicocchi attore e comico di area bolognese, impegnato soprattutto nel teatro a ridare vita a maschere tradizionali – che per ovviare alla solitudine e a una strana e consolatoria ‘fissazione-illusione’/ ‘fantasia-illusione’/ e fantastica, una patologica follia visionaria perno di buona parte dello spettacolo, che lo affligge finisce con il tessere uno strano e anomalo sodalizio con il malandrino anch’egli fondamentalmente solo tanto da ricorrere pure lui a una micro ‘fissazione-illusione’ anche se dalla vita ingarbugliata da due figure femminili: Margherita, moglie romana separata, interpretata da Alessia Fabiani e una compagna vivace e ignorantona resa con simpatica napoletanità da Loredana Giordano.

Riuscirà il nostro truffatore a gabbare la vittima designata o prevarranno in lui rari sprazzi di un’umanità sepolta da una quotidiana assuefazione all’inganno e alla disonestà lasciando aperta la strada del recupero dei più incalliti malfattori?

Una pièce – non così facile da interpretare perché essendoci poca azione rischia di precipitare nel banale e che quindi richiede una buona regia come quella di Gianfelice Imparato – dalle tinte surreali recitata in modo garbato ed equilibrato dalle due figure maschili che riescono con una mimica non solo facciale a rendere infinite ed eterne sfumature dell’animo umano coinvolgendo il pubblico che si diverte e insieme è indotto a riflettere: attitudine da ripristinare in questo momento di grave crisi in cui, però, non si è perso il cattivo andazzo di correre consumando tutto anche il divertimento senza quasi vederlo e soprattutto senza analizzarlo.

Sobria e d’impatto la scenografia di Roberto Crea resa calda e palpitante dal dipanarsi delle fragilità umane che si scontrano e si incontrano con ironica melanconia in quel gioco affascinante che è la vita.

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