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“La Scuola”. Una malinconica comicità lunga vent’anni

fotoNato nel 1992 come spettacolo teatrale tratto da due testi di Domenico Starnone (Sottobanco, Ex Cattedra), il grande successo ne favorì la trasposizione cinematografica nel 1995, con un film cult capostipite di un filone.

La regia di Daniele Luchetti e la presenza di Silvio Orlando hanno costituito una costante, fino all’attuale ritorno in scena voluto dall’attore perché “è lo spettacolo più importante della mia carriera; fu un evento straordinario, entusiasmante, con una forte presa sul pubblico. A vent’anni di distanza è davvero interessante fare un bilancio sulla scuola e vedere cos’è successo poi”.

Starnone ha trasfuso nei testi la sua esperienza di professore, fotografando la realtà scolastica degli anni ‘90, inalterata ancora oggi sotto il profilo didattico e metodologico ma anche relativamente allo stato fatiscente delle infrastrutture.

Nella palestra di un istituto tecnico della periferia romana il corpo docente si prepara allo scrutinio di fine anno. La sala professori è inagibile per infiltrazioni d’acqua e anche la palestra è puntellata dalle impalcature, ma gli insegnanti indossano scarpe da ginnastica per non rovinare il pavimento (scene di Giancarlo Basili).

Nella prima parte si assiste al confronto, a volte scontro, fra diversi modi di intendere il ruolo del docente: il professore di lettere Cozzolino sostiene la necessità di un metodo etico che tenga conto delle reali capacità degli studenti e delle condizioni socio-familiari, appoggiato dalla sensibile collega Baccalauro che ripete come un mantra “bisogna partire dalle cose che i ragazzi sanno fare bene, per incoraggiarli”. Nell’ampio panorama dei tipi umani c’è quello avvilito e arrabbiato come l’insegnante di francese Mortillaro, implacabile nel declamare “chi è nato per studiare e chi è nato per zappare” definendo “beduini” l’amorfa massa della popolazione scolastica, fino ad annegare le frustrazioni nella bottiglia. L’indifferente considera l’insegnamento un ripiego e privilegia la propria attività imprenditoriale, la zelante valuta tutto col bilancino e puntualizza pedantemente, l’insegnante di religione è anomalo e puzzolente.

La relazione della gita scolastica effettuata a Verona è occasione di esternazioni variopinte e visioni disparate circa la sua validità culturale, la vigilanza esercitata sulla scolaresca, i rapporti interpersonali fra docenti, le decrepite condizioni di pullman e albergo. Non mancano maldicenze e pettegolezzi sulla sintonia didattica ed educativa di Cozzolino e Baccalauro, scambiata per clandestina relazione adulterina. Su tutti aleggia la figura del preside che coltiva ambizioni poetiche e storpia le citazioni latine.

Nella seconda parte, lo svolgimento dello scrutinio fa strame del senso della misura, professionalità e obiettività per trasformarsi in un corpo a corpo nel quale gli alunni sono assenti protagonisti e “qualcuno bisogna bocciare”.

Il registro comico viene sfoderato con battute e considerazioni ora prosaiche ora disincantate che mettono in luce le personali piccinerie. Su tutti si eleva il professor Cozzolino che imita, agganciato alla fune, il volo della mosca, unica abilità dell’alunno Cardini che in classe si libera così del proprio disagio familiare e adolescenziale.

Un testo niente affatto stagionato che fotografa ancora lo stato del sistema scolastico, tranne alcuni riferimenti di cronaca come gli stipendi espressi in lire, le canzoni giovanili di riferimento, il nome del ministro della pubblica istruzione e un cellulare con l’antenna. Frizzante, paradossale, irresistibilmente comico, malinconicamente realistico: “il doppio lavoro è l’unica forma di aggiornamento”, “la scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno”.

Dialoghi brillanti e serrati, interpretazione magistrale e ormai consolidata degli attori che delineano tipi umani e professionali irresistibili: oltre a Silvio Orlando, Marina Massironi, Roberto Nobile, Vittorio Ciorcalo, Roberto Citran, Antonio Petrocelli, Maria Laura Rondanini.

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