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La belle joyeuse

Sarà in scena da martedì 22 novembre 2011 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 27), al Teatro Nuovo di Napoli, l’intenso monologo interpretato da Anna Bonaiuto, La belle joyeuse, scritto e diretto da Gianfranco Fiore e presentato da PAV in collaborazione con CADMO.

Una prova di grande intensità e coraggio per l’attrice friuliana, interprete di una delle eroine femministe dell’800, Cristina Trivulzio principessa di Belgiojoso, donna affascinante e influente che suscitava tra i suoi contemporanei giudizi estremi, definitivi e inconciliabili.

Donna dalle mille sfaccettature, patriota convinta quanto sfacciata anticlericale, editrice di pamphlets rivoluzionari come musa ispiratrice per artisti, la Cristina della Bonaiuto è una principessa di nero vestita, impegnata a ripercorrere un’esistenza animata dal sogno dell’Italia unita. Ricchissima per nascita, sposa a sedici anni per separarsi a venti, si divide tra una Parigi, dove è attrice e pittrice, scoprendo anche la gioia della maternità, e l’amata Italia, nelle cui martoriate terre del nord accoglie malati e costruisce orfanotrofi, prototipo di quella generazione di santi sociali che avranno in Torino la naturale culla.

Nel racconto ideato da Gianfranco Fiore, si delineano i contorni di una figura quasi leggendaria: minata nel fisico dall’epilessia prima, da sifilide ed idropisia poi, ma anche animata da una costante energia che la porta ad essere da una lato convinta benefattrice, dall’altro instabile viaggiatrice.

Un’esistenza vissuta a pieno che si sostanzia di atti eroici come quando, accoltellata da un amante deluso, trova la forza di cucirsi essa stessa le ferite.

Per far rivivere l’epopea di una donna d’altri tempi, creatura al tempo stesso d’impressionante modernità, Anna Bonaiuto rende il ritratto, reale come le mille maschere, di una delle personalità più luminose del Risorgimento italiano. Sola in scena, un baule da dove estrarre pochi oggetti, una sedia su cui sprofondare per la finale ammissione di come a spaventare non sia la morte, ma l’oblìo.

La belle joyeuse – si legge in una nota di Gianfranco Fiore – vuol tentare di suggerire che proprio in tutte queste maschere è la sua verità, perché ciascuna è stata vissuta, “incarnata” in modo così estremo, generoso e totale, da divenire parte di un unico volto di donna problematica, contraddittoria, egocentrica, ma assolutamente affascinante. Nessun intento celebrativo, nessuna preoccupazione di risarcimento storico alla sua figura dimenticata, ma solo un flusso di frammenti di ricordi, di visioni, di emozioni, nostalgie, frustrazioni, filtrati dalla tenerezza, l’ironia, e l’orgoglio di una Primadonna che al termine di una vita vissuta sotto il segno del coraggio, teme ora solo l’ultimo nemico: l’oblio, appunto”.

Proprio in questo momento, tra i pochi di tutta la vita, la belle joyeuse appare debole e vulnerabile, ancor più familiare, svelando l’umanità di una donna, prima che il ritratto di un personaggio storico.

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