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Io, Ludwig Van Beethoven al Teatro Belli di Roma fino al 12 maggio

fotoChi era Ludwig Van Beethoven? A gettare luce su una delle personalità più controverse e geniali della musica è l’affabulatorio monologo scritto, diretto e interpretato da Corrado D’Elia, anima e mente dei Teatri Possibili che in Io, Ludwig Van Beethoven scandaglia l’animo del musicista.

Alternandosi nel ruolo di narratore e immedesimandosi in prima persona nel genio sovrumano di Beethoven, D’Elia resta seduto tutto il tempo, dirige la musica che aleggia in teatro, racconta con pathos la vicenda umana e artistica di Beethoven, ne spiega la missione, ci fa scoprire l’uomo dietro il genio.

Non nasce certo come enfant prodige come Mozart, il piccolo Beethoven, costretto ad esibirsi fin da ragazzo nella corti europee, sfruttato da un padre che voleva arricchirsi con il suo talento. Ma le umiliazioni, le percosse sortiscono l’effetto opposto: Beethoven rifiuta di esibirsi come una scimmia ammaestrata, vuole che la sua musica sia libera. Pensiamo solo alla fantastica Settima Sinfonia (l’apoteosi della danza secondo Wagner), che aleggia in teatro, alla semplicità della Pastorale… additato dalla società come malevolo, cinico, insensibile e burbero, Beethoven scrive musica che gli altri non riescono neppure a capire. È troppo avanti, ma è famosissimo e soddisfa il palato della società viennese, centro culturale della musica europea, ma è sempre più solo, vive il dolore della sordità, la punizione più grande per un musicista.

Corrado De’Elia partecipa vivamente, emotivamente alla vita di Beethoven, ne scandaglia l’animo umano, la sordità, il dolore, le idee… il carattere… l’inventiva, la genialità. Tutto sa solo, con un gioco di luci e lo sfondo della magnifica musica fino a catturare il pubblico, fra la storia e la finzione, raccontando Ludwig ora come genio, ora come inaspettato amante (nelle lettere alla sua amata immortale), ora semplicemente come uomo, solo di fronte alla società. E non è certo un caso che anche il cinema abbia più volte tentato di scandagliare l’animo di Beethoven (in Amata immortale e in Io e Beethoven, sulla complessa genesi della Nona), ma qui D’Elia riesce nel suo intento con una scena semplicissima arricchita solo dai colori di scena sulla musica.

E quando la musica di Beethoven sembra passare di moda fagocitata dal virtuosismo di Paganini o dalla musica di Rossini, ecco che il genio torna dopo dieci anni con la Nona (patrimonio dell’Unesco): un inno alla gioia, una rivoluzione musicale con l’Inno alla gioia di Schiller cantato da solisti e dal coro, un’innovazione prosegue anche con l’intimismo quasi a-melodico e lineare degli scarni quartetti d’archi, quasi incomprensibili per chiunque (o quasi) all’epoca.

Applausi del pubblico che omaggia D’Elia esattamente come fece il pubblico in occasione della prima della Nona, il 7 maggio 1837: agitando i fazzoletti bianchi.

In scena fino al 12 maggio.

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