Una voce autentica contro l’indifferenza e il cinismo: è la voce disperatamente orgogliosa e consapevole di Alberto Saporito che si leva nel dialogo finale de Le voci di dentro di Eduardo De Filippo, diretto e interpretato da Toni Servillo che chiude la lunga stagione 2012-2013 del Teatro Argentina di Roma.
Dopo il successo di Milano, un mese di tutto esaurito anche a Roma e fino alla fine delle repliche (al 2 giugno), code e liste di attesa sperando, forse vanamente, in una rinuncia dell’ultimo momento per lo spettacolo di chiusura, uno degli eventi della stagione che si annunciava come uno degli spettacoli più attesi: coprodotto dal Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, dal Teatro di Roma, dai Teatri Uniti in collaborazione con Théâtre du Gymnase, Marseille, Le voci di dentro è stato anche scelto per rappresentare il teatro italiano negli Stati Uniti, in occasione dell’Anno della Cultura Italiana e andrà in scena a Chicago dal 25 al 29 giugno 2013 presso il Chicago Shakespeare Theater.
Le voci di dentro, la più surreale e onirica della commedie di Eduardo (nella Cantata dei Giorni Dispari), è senza dubbip uno spettacolo importante per molti buoni motivi: segna il ritorno di Toni Servillo al teatro (o meglio alla prosa, dopo la Trilogia della Villeggiatura di Goldoni 2007), segna il ritorno a Eduardo dopo il successo di Sabato,domenica e lunedì di dieci anni fa e segna anche l’incontro sul palco teatrale, per la prima volta, dei fratelli Servillo (riuniti già al cinema da Fabrizio Bentivoglio in Lascia perdere Johnny). Accanto a Toni nel ruolo di Alberto Saporito c’è suo fratello, Peppe Servillo, cantante e voce degli Avion Travel.
La commedia, scritta nel 1948, nasce dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale ed è un atto di accusa contro l’indifferenza e la caduta di valori della società che vengono mostrati al pubblico in un gioco continuo di rimandi fra realtà e sogno (anche la scena è accecante e abbagliante). Alberto Saporito (Toni Servillo) e Carlo (Peppe Pervillo) sono due apparecchiatori di feste (in decadenza) e quando Alberto crede i suoi vicini di casa, i Cimmaruta, abbiamo ucciso il suo amico, Aniello Amitrano, non esista a denunciarli. Al momento di fornire le prove, “i documenti”, si rende però conto di aver solo sognato l’omicidio.
A quel punto ritratta, ma ormai è tardi: le autorità hanno già avviato le indagini sul suo conto. Inaspettatamente però tutti i membri della famiglia Cimmaruta vengono a parlare con Alberto accusandosi l’un l’altro dell’omicidio di Amitrano.
Tutti, nessuno escluso, cominciano ad accusarsi, portatori di falsi moralismi e di cattiveria, di opportunismo e di egoismo e anche se innocenti, perché Aniello in realtà è vivo e vegeto.
E anche il fratello Carlo non si dimostra migliore degli altri, perché quando intuisce che Alberto sta per finire in galera tenta di fargli firmare una carta per assicurarsi la loro eredità.
Solo Alberto e il vecchio zio Nicola (che ha smesso di parlare perché incompreso (e guarda caso solo Alberto lo capisce) sono diversi e hanno il coraggio di denunciare l’aridità e il livello morale cui si è arrivati, fra voci vere o di dentro, attraverso l’emblematico discorso di chiusura.
“Eduardo De Filippo è il più straordinario e forse l’ultimo rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare: dopo di lui il prevalere dell’aspetto formale ha allontanato sempre più il teatro da una dimensione autenticamente popolare” ha detto Toni Servillo e la sua messa in scena di questo testo risulta davvero autenticamente popolare. Servillo ha scarnificato il testo di Eduardo da ogni realismo scenografico, abbagliando la platea come fosse davvero un sogno e ha favorito un meccanismo drammaturgico creato per ottenere l’equilibrio, l’incontro sostanziale e mai la sopraffazione fra il testo e l’interpretazione.
Se tutti gli attori della compagnia sono di ottimo livello, Toni Servillo è una garanzia in grado di dare umanità e sincera autenticità all’iter poliedrico del suo personaggio con raro virtuosismo (era il ruolo di Eduardo): è un grande attore, riconosciuto e premiato anche a livello internazionale, che ha il pregio essere perfettamente convincente tanto a teatro quanto al cinema (già mimetico Andreotti nel Divo e adesso di nuovo in concorso a Cannes con La grande bellezza sempre diretto da Paolo Sorrentino).
Menzione speciale però a Peppe Servillo, vera rivelazione della serata: abituati a vederlo, o meglio a sentirlo in veste di cantante degli Avion Traviel, risulta ancora più convincente come meschino, infido, Carlo Saporito, che incarna una cattiveria fatta anche di piccoli, non indifferenti, gesti.
In scena fino al 2 giugno al Teatro Argentina di Roma.