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Gea Martire in “Mulignane”

fotoQual è la misura dell’amore? Esiste un metro di misurazione appropriato? Nello spettacolo teatrale “Mulignane” il peso dell’amore si definisce nella compensazione di quel vuoto chiamato solitudine, ed è proprio la solitudine di un dolore mentale e fisico a caratterizzare la storia della donna protagonista senza nome e senza compagno. Tratto dal racconto di Francesca Prisco dal titolo “Reinbov dream”, la vicenda narra di una segretaria inadeguata alla realtà, frustata dalla mancanza di un compagno che determina in lei un malessere sociale. Proprio da questo corto circuito nasce un personaggio interpretato con grande forza da Gea Martire, esaltata da un’impronta comica della regia di Antonio Capuano. L’interprete trascina al di là dello stereotipo il suo personaggio, quello della segretaria decisamente poco affascinante e maltrattata dai colleghi, con una madre che, tra una parmigiana di “mulignane” e la mancanza di privacy, esaspera la figlia affinché trovi un marito in modo da sistemare la propria vita. Tutto ciò porta a vivere sulla scena un personaggio inedito per simpatia, drammaticità, erotismo e complicità con lo spettatore.

A caratterizzare la vicenda è il sesso e la sua “nascita” quando nella protagonista si insedia un germe che la spinge a concedersi, nel giorno del suo compleanno, un piccolo regalo. Una trasgressione morale a cui, nonostante il desiderio, non si è ancora pronti, tanto che questo sex toy diventa un peso insostenibile da dover buttare via. Ma dove non basta il desiderio ci pensa il caso, perché l’eros è una questione di fortuna, di coppia e a dare finalmente la svolta alla vita sua segretaria ci pensa Peppino, il rozzo fattorino, un principe azzurro appassionato di pratiche BDSM. È lui il primo essere a darle attenzioni, a toccarla, a renderla concreta, viva e poco importa se Peppino esprime la pochezza del suo amore solo attraverso le “mulignare” (questa volta intese come ecchimosi) che scrive sul corpo della sua sottomessa.

La segretaria per diventare farfalla ha bisogno di vivere in un bozzolo fatto di dolore, manette, giochi erotici al limite, in uno stadio di una crisalide livida. L’amore non ha regole e lei non conosce neanche le basi di questo gioco in cui trova coinvolta, ma è proprio l’essere parte di un qualcosa, di una pseudo coppia, di essere portatrice di piacere soddisfa per la prima volta i suoi desideri. Questo spingersi al limite le provoca un susseguirsi di piccoli cambiamenti, dove i desideri diventano concreti e le rivincite personali con amici, colleghi di lavoro e la madre si realizzano. Sarà proprio l’evoluzione in un’abito rosso a far si che Peppino decida di non dedicarle più le proprie attenzioni. La sua perdita non è altro che la definitiva conquista della propria vita. Da sub diventa una statua viva che si innalza al centro della scena, realizzata da Flaviano Barbarisi, e pronta a dominare la propria vita e perché no, anche quella altrui.

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