Meravigliosa e furibonda. Una storia, quella di Medea, che parla di vendetta, di passione e di morte. Una storia, soprattutto, che continua ad emozionare, del tutto indifferente al tempo e ai tempi. Una storia che lascia sgomenti. Quella vista ieri sera al Piccolo Teatro Grassi è una Medea contemporanea. Tutti gli attori vestono abiti d’oggi, in particolare Medea veste una lunga tunica nera che non potendo essere il segno del lutto (avendo lei stessa ucciso il fratello), potrebbe connotare una donna musulmana, una straniera che l’occidente considera “diversa”, un corpo estraneo da espellere. La sorte di Medea è la metafora dello scontro di culture che dilania il mondo.
Il pericolo è che la cultura egemone tenti di imporsi sui costumi, tradizioni, lingue, religioni della pluralità di attori che occupano la scena mondiale producendo sacche di sradicamento e marginalizzazione. Quello che accade quotidianamente sotto i nostri occhi sembra confermare le convinzioni di Samuel Huntington il quale nega l’esistenza futura di un mondo “pacificato nell’omologazione delle culture” e prevede che appunto la concorrenza fra culture opposte porterà a uno “scontro di civiltà”.
Ma ritorniamo a Seneca.
Medea dopo aver condotto, per amore di Giasone, gli argonauti a recuperare il “vello d’oro” si sente abbandonata e considerata “clandestina in terra altrui.
Medea è la prima donna che si ribella non soltanto a una condizione di inferiorità sociale, ma anche al destino, è una donna che abbandonata dal marito dà libero sfogo al suo carattere demoniaco. Così un’irrefrenabile pulsione di vendetta, la spinge a rispondere a un tradimento con l’uccisione dei figli affinché il padre traditore li pianga in eterno. Un atto irrazionale e per di più autolesionistico che sfuma nel mistero. Il tradimento da parte dell’uomo che ama, il terrore dell’abbandono, l’ingiustizia per l’ordine sovvertito (lei la vittima punita con l’esilio), la natura altera e violenta scatena in lei pulsioni crudeli. Ma è la lucidità di Medea, la sua fredda determinazione che sconcerta malgrado un Giasone angosciato si dichiari costretto a sposare Creusa la figlia di Creonte re di Corinto proprio per l’amore dei figli. Ma la sua ira ceca non dà scampo.
L’interpretazione di Maria Paiato grandissima attrice che abbiamo ammirato in numerose occasioni, questa volta si conferma all’altezza della sua fama nella parte finale, la più drammatica, mentre all’inizio delle sue “lamentazioni” giungevano in sala impercettibili le “parole” mentre chiari rompevano il silenzio una serie di suoni vocali accompagnati da una gestualità e posture eccessive. Voglio dire che il dolore, la rabbia, l’irrefrenabile volontà di vendetta si possono anche esprimere interiorizzando le pulsioni restituendo alla parola (e ai silenzi) il suo ruolo.
Buona la prova degli altri attori: Orlando Cinque, Giulia Galiani, Max Malatesta, Diego Sepe. Molto apprezzata l’invenzione registica di rappresentare l’uccisone dei figli mostrando Medea che straccia due fogli di carta sui quali è abbozzata l’immagine di un bimbo.
Il meccanismo drammaturgico ha funzionato bene grazie all’attenta regia di Pierpaopo Sepe bel coadiuvato da Francesco Ghisu per le scene, e da Pasquale Mari per il servizio luci.