diretto e interpretato da Michele Schiano Di Cola
disegno luci di Gennaro Di Colandrea
direzione musicale di Michele Maione
scenografia e costumi di Lia Anzalone
Sinossi dello spettacolo
Angelo della gravità è un testo nato in seguito alla lettura di una storia riportata anni fa sui giornali: negli Stati Uniti, un detenuto nel braccio della morte era in attesa che la sua condanna a morte venisse eseguita tramite impiccagione. L’esecuzione, però, era stata sospesa perché il condannato in questione era grasso al punto che il suo peso avrebbe spezzato la corda del boia. Il fatto di cronaca è rimasto un semplice spunto. Angelo della gravità non è la storia di quell’obeso, ma di un obeso, un uomo con evidenti problemi di disordine alimentare e di immaturità psicologica, un animo infantile intrappolato in un corpo cresciuto a dismisura. La sua unica consolazione è il cibo. Il cibo, un tempo ricevuto dalla madre, è il solo, più alto dono d’amore che lui conosca. E proprio inseguendo il cibo l’uomo approda nel paese da favola dove i supermercati sono aperti a tutte le ore e i panini sono come quelli dei fumetti: gli Stati Uniti. Qui, in terra straniera, consuma l’efferato ma candido delitto per il quale viene condannato all’impiccagione. Il monologo è il resoconto che l’uomo fa delle sue vicende mentre attende di essere appeso alla corda del boia. Nel corso del monologo, il condannato a morte costruisce la sua personale visione del mondo, la sua cosmogonia, e lo fa utilizzando i soli elementi di cui dispone: cresciuto nel culto delle merci e della televisione, disegna una delirante concezione dell’ordine universale e morale nella quale la pornografia coincide con l’agape e l’indigestione con l’eucarestia. Forte di questa fede, l’obeso approda alla visione celeste degli “angeli della gravità” che grazie alle loro ali vincono il peso della materia e si elevano verso Dio. Nella certezza di entrare a far parte della schiera di questi angeli, il condannato affronta con serenità la sua morte imminente e si consegna a una paradossale ma autentica santità.
Note di regia
Lo spazio di una simile performance non è tanto un luogo quanto un’estensione del corpo del protagonista, delle sue nevrosi e morbosità. Fulcro di tale prospettiva registica è la fragilità e l’ inadeguatezza dell’uomo nelle perversioni della civiltà contemporanea (di cui è artefice e vittima). In un mondo in cui amore è pornografia, nutrimento è bulimia, religione è consumo, l’uomo-infante con i suoi istinti primordiali vive la sua inadeguatezza attraverso la morbosa costruzione di riti-nevrosi che ossessivamente hanno il compito di sublimare le proprie fragilità. La scena è dunque l’uomo. La cella è dunque proiezione dei bisogni e necessità del corpo e della mente dell’uomo. Lo spazio scenico è tappezzato di pagine di giornali pornografici,disposti con cura nell’affannosa ricerca di un amore deviato; una bilancia scandisce il tempo di riti-partiture fisiche che si susseguono sempre uguali verso la (de)generazione del nutrimento in morte; Un’altare-insegna di supermercato, dove il rito dell’eucarestia si confonde, e sublima l’efferato e candido delitto, dove l’ostia diventa la carne in scatola e il corpo squartato della vittima, dove l’atto sacro dell’amore viene consumato attraverso il fagocitare l’oggetto amato. L’uomo-infante dunque, primitivo nel suo candore-efferatezza, si aggira seminudo (indossa un pannolino) nella cella della sua schizofrenica esistenza di uomo contemporaneo. Il rito che è costretto a compiere, per trovare finalmente la morte agognata, ma impedita dall’eccesso di peso, è la liberazione dagli affetti-fantoccio, dai ricordi delle persone care, i cui corpi bambolotti sono il lardo di questo cicciobombo, vere e proprie escrescenze legate alla pelle nuda del protagonista (morte uguale solitudine). Morte agognata e raggiunta in una danza con lo squallido feticcio di un amore irraggiungibile: una bambola gonfiabile, oggetto di cure, giammai sessuali bensì tenere e affettuose; bambola a cui è legato con un filo, come un bimbo al proprio palloncino, come un feto alla propria madre, come un condannato a morte alla propria forca.
Per prenotazioni: 3396666426