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Educazione siberiana

Da bestseller internazionale alla trasposizione cinematografica firmata da Gabriele Salvatores, “Educazione Siberiana” approda anche sulla scena teatrale. Il successo letterario di Nicolai Lilin diventa soggetto di una riduzione teatrale seguita dall’autore stesso, con l’ottima regia di Giuseppe Miale di Mauro. Una produzione in comune tra gli stabili di Torino, Toscana, Emilia Romagna, rappresentata al Teatro Elfo Puccini di Milano

Educazione siberiana è una narrazione di tipo etnico-antropologico in cui si espongono usi, costumi, tradizioni e linguaggio di una comunità. La comunità è quella di ex siberiani criminali, deportati (ai tempi di Stalin) e poi radicati ai confini con la Moldavia, una comunità nata appunto da deportazioni sovietiche di fuorilegge e poi cresciuta all’interno di quell’enclave. Criminali violenti ma a loro modo giusti e timorosi di Dio e delle (loro) autorità. Quella siberiana è un’educazione criminale, ma con precise regole d’onore. La storia si svolge in una regione del sud della Russia e abbraccia un arco di tempo che va dal 1985 al 1995, è la storia di due fratelli, educati all’ancestrale codice guerriero degli “onesti criminali” siberiani così come loro stessi amano definirsi. Al nonno Kuzja è affidata l’educazione dei giovani, la trasmissione delle tradizioni sulla base di un rigido codice etico che si fonda sull’amicizia, la lealtà, il rispetto per gli anziani e la religione, la difesa delle donne, dei disabili, dei più deboli, e l’assistenza ai più bisognosi. Questa comunità ha sviluppato un suo linguaggio di cui fanno parte anche i complessi tatuaggi. Dei due fratelli, il primo è fedele alle regole dei “criminali onesti”, il secondo pronto a cedere alle sirene del consumismo occidentale che bussa alle porte della cortina di ferro. La loro storia pur circoscritta in un microcosmo molto particolare acquista un significato metaforico del nostro universo quotidiano.

La storia di questa contraddizione, di quest’ossimoro (onesti criminali) se non fosse un pezzo di vita vissuta da Nicolai Linin, se fosse cioè frutto di fantasia non avrebbe nulla di originale perché, con le dovute differenze, ci sono antenati illustri: ricordiamo “il giustiziere della notte” film con Charles Bronson, il Passator cortese (che si è anche macchiato di efferati delitti), le gesta di Robin Hood e la criminale “’onorata società” siciliana dai rigorosi codici morali (obbedienza agli anziani, assistenza ai componenti la famiglia, difesa delle (loro) donne, formale rispetto dei canoni cattolici….). La rappresentazione vista sul palcoscenico del teatro Elfo Puccini è di buon livello, ma non è convincente. In alcuni casi l’eccessivo manicheismo, il confine tra il bene e il male è tagliato con l’accetta, la rappresentazione della brutalità della soldataglia sovietica rasenta il macchiettismo. Fra fiumi di vodka, rumori assordanti, esagitazione generalizzata, dialoghi spesso schematici e retorici, gli attori (Ivan Castiglione, Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Stefano Meglio, Adriano Pantaleo e Andrea Vellotti) esprimono con convinzione i sentimenti e i risentimenti dei rispettivi personaggi. Primus inter pares Luigi Diberti nella parte del grande vecchio affiancato dalla dolorosa intensa interpretazione di Elsa Bossi nelle vesti della povera madre. Semplici ma funzionali le scene di Carmine Guarino.

 

 

2014 (Teatro / Visti da noi)

 

 

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