È davvero possibile ridare vita a un poema come l’Orlando Furioso, scritto da Ludovico Ariosto nel 1532, riuscendo a renderlo accattivante e coinvolgente nei nostri giorni? È possibile riuscire a dialogare in versi, in un’epoca in cui vige l’estrema sintesi e semplificazione del linguaggio, e far capire quanto possa essere, invece, ricca e bella la nostra lingua? L’impresa potrebbe apparentemente sembrare folle, come il protagonista del sopracitato poema. Eppure la pazzia, alcune volte, apre le porte che poi percorrono i savi.
Proprio questo è successo con lo spettacolo “Giocando con Orlando” andato in scena al Teatro Duse di Bologna. Marco Baliani, regista del progetto e attore è riuscito, con Stefano Accorsi, a far penetrare lo spettatore all’interno di uno dei poemi più belli della nostra lingua ricreando un mondo onirico, magico, sentimentale e guerriero che ha lasciato senza fiato.
Quando il sipario si alza, ci si trova davanti a una scena nuda, adorna solo di pedane di legno scuro che fingono da rialzi al centro e ai lati. Poiché l’attore principale, Stefano Accorsi, viene dall’opulento mondo del cinema, forse ci si aspettava una scenografia diversa e questo spiazza un po’. A impreziosire, in modo delicato e possente allo stesso tempo, la pièce sono i magnifici cavalli creati da Mimmo Paladino per lo spettacolo. Colorati, energici, poderosi ma con il muso delicato e lo sguardo dolce come quello di un bambino questi cavalli donano grazia e imponenza alle eroiche gesta declamate.
La semplicità sul palco restituisce magia al testo e rende molto più potente il gioco tra i due attori. Continuo è il rimbalzo tra il registro comico e quello drammatico. Il titolo, “Giocando con Orlando”, riporta a una dimensione ludica, giocosa. I mezzi di cui dispongono i due attori sono la loro fisicità e le parole. La forza di queste ultime è maggiore proprio perché veicolata dai corpi in movimento e, attraverso questa fusione, si riesce a ricreare l’incanto della poesia.
Alle risate suscitate dal duello linguistico, sempre in rima, tra i due attori o da simulazioni corporee grottesche ed esilaranti, si alternano gli slanci drammatici provocati dall’amor folle di Orlando, ma anche da riflessioni che riguardano la gelosia – prendendo in prestito alcuni passi dello shakespeariano Otello –, la necessità dell’uomo di creare conflitti (“nelle guerre vere com’è facile prendere gusto a massacrare”), finanche la condizione del gentil sesso(“sempre le donne son quelle da immolare nella storia”).
Il pubblico è estasiato dal racconto di Accorsi e Baliani e partecipa attivamente, diversi sono stati gli applausi a scena aperta e lo scroscio di risate. E così le imprese di Orlando, Angelica, Astolfo, Ruggero, Bradamante e tutti i protagonisti, fanno sospirare e pensare all’amore, a quello contrastato a quello corrisposto, all’amore che può essere fonte sia di immensa gioia sia di infinita pena tanto da portare a perdere il senno. L’ultimo anelito, prima che il sipario si chiuda, si tramuta, come per magia, in desiderio: rileggere l’Orlando Furioso.