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Potere e contropotere della musica in Africa

Sabato 22 febbraio alle ore 12, alla Casa del Jazz, il  secondo dei due incontri di “Appunti di Afronomia” curati da Marco Boccitto,“Potere e contropotere della musica in Africa”. I suoni, le immagini, le storie che illustrano le relazioni pericolose tra musica, politica, potere costituito, movimenti di liberazione e media  in Africa. Potere e contropotere della musica, dai griot delle antiche corti ai rapper delle “primavere” arabe, passando per Fela Kuti, Thomas Sankara e Miriam Makeba.

Una sorta di “radiovisione”,  di narrazione per suoni, parole e immagini, con voce live “fuoricampo”, video, interazione con il pubblico, eventuali contributi musicali dal vivo ed eventuale dj-set conclusivo.

C’erano una volta i panegirici con cui i griot africani facevano cronaca, controllavano la storia e  influenzavano l’opinione pubblica, incensando la classe dirigente degli “imperi” sorti intorno al XIII secolo in Africa Occidentale. Ebbene ci sono ancora (i panegirici, non gli imperi). Ma come non mai ci sono e si fanno sentire anche i controcanti, le voci del dissenso, in un crescendo che affonda le sue radici nel rapporto fecondo instaurato tra canzone popolare urbana e società, nel profilo che nel secolo scorso la musica ha assunto in seno ai movimenti di liberazione africani e nel cuore di alcune figure chiave del pantheon politico post-coloniale, come Sekou Touré, Kenneth Kaunda o Thomas Sankara. Per la sua capacità di incidere sull’immaginario collettivo, nutrire ideali e catalizzare emozioni, quando la musica in Africa si è spinta oltre la celebrazione, la gioia di vivere, il diritto di ballare è stata anche occasione di scontri feroci tra artisti e potere costituito. “La  musica è l’arma” amava ripetere Fela Anikulapo Kuti, supereroe dell’afrobeat nigeriano. Solo che lui parlava di cultura, mentre il regime militare rispondeva con armamenti convenzionali. I Tinariwen invece hanno avuto l’intelligenza anche poetica di riconvertire i fucili in chitarre elettriche, senza smettere per un istante di servire la causa delle popolazioni tuareg del Nord Mali. Quel Nord Mali squassato dal recente conflitto tra jihadismo internazionale e governo centrale sorretto dall’ex potenza coloniale, dove non per niente uno dei massimi errori politici da parte degli islamisti che dettavano legge a Timbuctu è stato quello di osare solo pensare che la musica si poteva vietare per motivi religiosi.

Moltiplicata dalla rete, oggi una canzone d’autore o un rap possono accompagnare rivolte – si veda la prorompente musicalità delle piazze durante le cosiddette primavere arabe – e spargere indignazione, come può generare clamori, repressione, carcere, censure, esilio. Allo stesso tempo l’investimento anche simbolico e politico sulla musica in un paese africano può produrre un ministro della cultura come Mario Lucio Sousa, che per caratura artistica e personalità si può ben definire il Gilberto Gil delle isole di Capo Verde. E anche questo è il potere della musica, in Africa.

Casa del Jazz

Viale di Porta Ardeatina, 55 – Roma

Info: 06/704731

Ingresso  libero

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