“Che vuole che le faccia io se dalla Francia non ci viene più una buona commedia, e ci siamo ridotti a mettere in iscena commedie di Pirandello, che chi l’intende è bravo, fatte apposta di maniera che né attori né critici né pubblico ne restino mai contenti?” La commedia che il filogallico capocomico dei Sei personaggi in cerca d’autore si è ridotto a rappresentare è proprio Il giuoco della parti. La vicenda è semplice: Leone Gala, intellettuale con la passione per la cucina e un innato senso d’indifferenza al mondo, è divorziato da Silia, bambina capricciosa sgomitante dentro alle forme di una donna, che l’ha tradito con l’amico di lui Guido Venanzi, incastrato nella vicenda da un carattere cedevole alla carne. Il fulcro della commedia è proprio l’indifferenze di Leone, il suo atteggiamento razionalmente distaccato che vuol celare un’insicurezza delle emozioni, una paura di soffrire. Tenuto, per contratto, a far visita alla moglie per mezz’ora ogni sera, è costretto a un confronto con l’amico e, quando il Venanzi quasi lo attacca: “Sconcerti, perché … far tutto, sempre, a modo degli altri … come vogliono gli altri …”, Gala, mescolando le sue passioni, filosofica e culinaria, gli espone la sua teoria: “… Guarda è come se ti arrivasse all’improvviso, non sai da dove, un uovo fresco … Se sei pronto, lo prendi, lo fori e te lo bevi. Che ti resta in mano?”. “Il guscio vuoto”, gli risponderà il Venanzi. Da un diverso, lontano palco scenico arriva la voce del capocomico: “Sissignore, il guscio: vale a dire la vuota forma della ragione, senza il pieno dell’istinto che è cieco! Lei è la ragione, e sua moglie l’istinto: in un giuoco di parti assegnate, per cui lei che rappresenta la sua parte è volutamente il fantoccio di se stesso.” Con uno – è il caso di dirlo- spettacolare giuoco delle parti Pirandello spiega Pirandello, fingendo di non capirsi. La duplice natura di Silia, un tuorlo passionale ovattato in un candido bisogno di cure e di amore, è rinchiusa in un guscio che pare incapace di provare gelosia. Quella gelosia coniugale che manca a rendere perfetto il giuoco delle parti come lo vorrebbe lei. Leone il giuoco l’ha capito, ma proprio per questo ne resta inevitabilmente vittima, costruendosi, con la sua calcolata, strategica apatia, uno scudo a tutte le sensazioni vitali che potrebbero declassare il giuoco a semplice struttura sociale, rivelare la natura borghese di questo bisogno dei ruoli. L’originalità dell’adattamento (di Roberto Valerio, Umberto Orsini, Maurizio Balò) sta nel rendere palese, manifesto il carattere macabro dell’ironia pirandelliana, presentendo i fatti come già avvenuti, dal punto di osservazione di un Leone Gala che ne è tormentato. Come se tutte le emozioni gli fossero crollate addosso insieme, sconvolgendo il suo sudato equilibrio tra il giuoco e la realtà, egli è ora ricoverato in una qualsivoglia gabbia sociale, dove fa scorrere il tempo spiegando la filosofia a Socrate, nei panni del suo infermiere, e sbattendo le uova. “Ecco la cosa più grandiosa, avere la debolezza di un uomo e la tranquillità di un dio”. Quella che vuol chiamare tranquillità è la rinnovata finzione dell’indifferenza, uno spasmodico tentativo di vivere un’esistenza da regista anziché di attore, come non sapesse la fine che fa il guscio, senza l’uovo fresco dentro: “ … Lo infilzi nel pernio del tuo spillo e … te lo giuochi come una palla di celluloide … e poi paf! Lo schiacci tra le mani e lo butti via.”
Il giuoco delle parti
1176Adattamento di Roberto Valerio, Umberto Orsini e Maurizio Balò
con Umberto Orsini
e con Alvia Reale, Michele Di Mauro, Flavio Bonacci
Scene Maurizio Balò
Costumi Gianluca Sbicca
Regia Roberto Valerio
Produzione Compagnia Orsini in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola
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