Nel 1895 Oscar Wilde, accusato di sodomia e immoralità fu condannato ai lavori forzati nel carcere di Reading. Fu un’esperienza drammatica, un’esperienza da cui lo scrittore non si riprese mai, ma che cercò di raccontare, a suo modo, in un breve componimento in versi. Scritto immediatamente dopo la sua scarcerazione la Ballata del Carcere di Reading è un poema di rara lucidità, in cui Wilde esprime un’intensa analisi della propria condizione esistenziale; prendendo spunto dalla sua triste esistenza carceraria, egli denuncia le debolezze, le miserie e le contraddizioni della natura umana. Nella sua devastante condizione di detenuto, il poeta si distacca dalla concezione edonistica della vita da cui si era lasciato accecare, e riconosce allla fine la sofferenza come tappa fondamentale di un percorso di rinascita e redenzione spirituale. È significativo nella durezza delle strofe il cambiamento dello scrittore con la vita interiore che diventa più introspettiva e sofferta così come la sua arte non è più, come la vita, espressione edonistica, provocatoria, gaudente. La sua profonda fede nella vita come un’opera d’arte (life as a work of art), che fino a quegli anni rappresentò la pura espressione dell’estetismo, divenne da quegli anni così tremendamente pessimistica che continuò a logorarlo anche dopo la sua scarcerazione, fino alla sua morte. La “Ballata del Carcere di Reading” racconta la storia dell’impiccagione di un giovane detenuto colpevole di avere ucciso la donna che amava (he did not wear his scarlet coat, For blood and wine are red, And blood and wine were on his hands When they found him with the dead, The poor dead woman whom he loved, And murdered in her bed ). Lui aveva ucciso una cosa viva, ma loro avevano ucciso un uomo morto. ed evoca il rituale assurdo e feroce dell’esecuzione, e quella che contiene la profonda considerazione religiosa, sui mali del mondo e sulla redenzione. Ogni uomo uccide la cosa che ama, che ciascuno lo sappia: gli uni uccidono con uno sguardo di odio, gli altri con delle parole carezzevoli, il vigliacco con un bacio, il coraggioso lo fa con una spada! (Yet each man kills the thing he loves By each let this be heard, Some do it with a bitter look, Some with a flattering word, The coward does it with a kiss, The brave man with a sword!).
La Ballata del Carcere di Reading è una testimonianza della violenza silenziosa del potere esercitato sui carcerati in generale e in particolare sul giovane assassino che, assetato di vita beve l’aria del mattino e guarda dalla sua cella quel pezzetto di azzurro che in carcere è chiamato cielo e che soffre l’assillante controllo delle guardie per impedire che si possa togliere la vita e rovinare lo “spettacolo”.
Questo canto disperato la cui traduzione e adattamento sono stati curati da Umberto Orsini ed Elio De Capitani è in scena al Teatro Puccini con la regia di De Capitani dove Umberto Orsini, fra i maggiori interpreti del teatro italiano, incontra Giovanna Marini, la più grande voce della nostra musica popolare, in uno spettacolo intimo e dolente.
Lei con chitarra, lui con il libro nella veste del narratore. Orsini non stupisce la sua inconfondibile voce affascina e incanta, stupisce invece l’arte di Giovanna Marini nella triplice veste di musicista, cantante e attrice. Mi ha sinceramente affascinato ed emozionato e sorpreso perché il mio ricordo di Giovanna va indietro di cinquant’anni quando la vedevo nel rosso oltrepo mantovano interpretare con la sua bella voce i canti popolari, quelli delle mondine, della lotta partigiana, di “bella ciao”. Poi l’ho persa di vista perché la vita mi ha portato ad altri impegni più prosaici e più impegnativi. Quindi Giovanna è stata la vera rivelazione. Canta le parole di Wilde con musica da lei composta che si rifà alle ballate scozzesi (I MacDonald), alle melodie elisabettiane e ai Lieder di Schubert. Esibizioni di grande raffinatezza e di grande spessore emozionale. Una lettura a due voci che crea e scompone, a volte la Marini
ripropone in inglese il testo che Orsini ha appena letto e a volte lo anticipa in un gioco che alla fine ci fa uscire dal teatro con gli occhi umidi di pianto e la voce strozzata dall’emozione.