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“Nascosto dove c’è più luce”. Riflessioni tra sogno e realtà

fotoNel corso di un sogno funestato dall’incubo di un ingorgo stradale, svegliatosi di soprassalto, il comico si accorge di trovarsi in un luogo illuminato da una gigantesca luna che sovrasta un albero rinsecchito (come non ripensare all’atmosfera di “Aspettando Godot”?), accolto da un angelo svolazzante che non placa la sua curiosità, ma risponde alle domande con altre domande.

Dal disagio di tale condizione sgorga un flusso di coscienza che fa affiorare pensieri ed emozioni, che dipanandosi diventano spettacolo, sospeso nel dubbio se sogna di essere sveglio o è desto e crede di sognare.

In questo contesto fuori dal tempo e dallo spazio, l’angelo annota su un tablet il test a cui lo sottopone e gli spiega che quello è il luogo in cui vengono valutati i pensieri e le intenzioni degli uomini prima di essere inviati in paradiso “luogo di pacifica assenza di domande”, e non hanno, invece, peso le parole dette. L’attore è spiazzato: proprio le parole hanno caratterizzato la sua vita professionale su tanti palcoscenici.

L’effluvio di ricordi, memorie, storie, aneddoti, gag comiche, riflessioni lo fa passare, con autentici voli pindarici, da un argomento all’altro, senza soluzione di continuità: dalle blandizie dei commessi nei negozi per indurre il cliente ad acquistare anche capi inadatti al proprio fisico, alle diverse modalità dell’uomo e della donna di rapportarsi al partner nel momento dell’addio, o al pungente sarcasmo verso chi fa la scelta “salutista e rilassante” di vivere in campagna e, intanto, si sfianca di lavoro.

Sul versante della religione mette a confronto le concezioni cattolica ed ebraica dell’aldilà, con inferno e paradiso contrapposti alla cabala, ipotizzando perfino un Dio tanto giusto da condannare a una pena a termine (12 anni secondo calcoli statistici) e non eterna.

Scritto, diretto e interpretato da Gioele Dix, lo spettacolo ha una accentuata connotazione autobiografica e quasi intimista nel fiotto di ammissioni, rivelazioni e confessioni di vita vissuta, privata e professionale: l’affetto per le zie, la trepidazione per la figlia, la devozione per i maestri della scena da cui ha appreso il mestiere (“bisogna saperli scegliere”), ai quali è accomunato dal bisogno di celare la propria identità dietro la maschera del personaggio, sotto la luce dei riflettori, essendo la contraddittoria condizione dell’attore quella di essere “nascosto dove c’è più luce”.

Massimi sistemi, psicanalisi e vita quotidiana si intrecciano alle musiche, ora paradisiache ora roboanti, di Savino Cesario, assecondate dal disegno luci vagamente psichedelico di Carlo Signorini che lambiscono l’azzurrognola scena notturna di Francesca Pedrotti.

Il registro stilistico di Gioele Dix è raffinatamente comico nella varietà dei temi, annotazioni d’autore che non tralasciano di mettere a fuoco tutti i sentimenti che accompagnano l’essere umano nella vita, che si stemperano a volte nella battuta greve e liberatoria.

L’angelo, evanescente, etereo, impertinente e ironico è interpretato dall’esordiente Cecilia Delle Fratte.

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