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Le Comte Ory

Melodramma giocoso in due atti

Libretto di Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson

Musica di GIOACHINO ROSSINI

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(Edizione critica a cura di Damien Colas – Prima rappresentazione italiana Edizione Alkor-Bärenreiter, Kassel – Rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano)

Prima rappresentazione: Parigi, Opéra, 20 agosto 1828

Prima rappresentazione al Teatro alla Scala (Piccola Scala): 17 gennaio 1958

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Nuova produzione Teatro alla Scala

in coproduzione con Opéra National de Lyon

Direttore DONATO RENZETTI

Regia, scene e costumi LAURENT PELLY

Collaboratore del regista CHRISTIAN RÄTH

Luci JOËL ADAM

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Personaggi e interpreti

Le Comte Ory Juan Diego Flórez (4, 7, 10, 17, 21)

Colin Lee (12, 15, 19)

Le Gouverneur Roberto Tagliavini

Isolier José Maria Lo Monaco (4, 7, 10, 17, 21)

Chiara Amarù (12, 15, 19)

Raimbaud Stéphane Degout (4, 7, 10, 17, 21)

Nicola Alaimo (12, 15, 19)

La Comtesse de Formoutier Aleksandra Kurzak (4, 7, 10, 17, 21)

Pretty Yende (12, 15, 19)

Ragonde Marina De Liso

Alice Rosanna Savoia

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Maestro del Coro Bruno Casoni

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Rossini scrisse questo funambolico melodramma giocoso negli anni parigini, meno di un anno prima di smettere di comporre opere, consegnandoci l’ultimo suo capolavoro comico. Alla stesura del libretto in francese collaborò anche il grande tenore Adolphe Nourrit, per il quale fu scritta la parte del Conte Ory. Che sarebbe poi un Don Giovanni burlone dell’età delle Crociate, un tipo ameno che ama corteggiare dame oneste e pellegrine pie, con inganni, travestimenti, insistenza, ma scarso successo. La partitura è naturalmente raffinatissima, piena di vivacità, ironia e vocalità vertiginose. La Scala ha ingaggiato per il protagonista niente meno che Juan Diego Flórez, il migliore in questo ruolo, insieme ad Aleksandra Kurzak e Stéphane Degout, e offre lo spettacolo di Laurent Pelly, che molto successo ha riscosso col suo Elisir d’amore della Stagione 2009/10. Sul podio la sicurezza di Donato Renzetti.

Prima d’ora l’opera di Rossini è stata eseguita alla Scala solo due volte, nel 1958 e nel 1991.

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Date:

Venerdì 4 luglio 2014 ore 20 ~ prima rappresentazione

Lunedì 7 luglio 2014 ore 20 ~ turno A

Giovedì 10 luglio 2014 ore 20 ~ turno B

Sabato 12 luglio 2014 ore 20 ~ fuori abbonamento

Martedì 15 luglio 2014 ore 20 ~ turno D

Giovedì 17 luglio 2014 ore 20 ~ turno C

Sabato 19 luglio 2014 ore 20 ~ fuori abbonamento

Lunedì 21 luglio 2014 ore 20 ~ turno E

Prezzi: da 210 a 13 euro

Infotel 02 72 00 37 44

www.teatroallascala.org

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L’opera in breve 

Claudio Toscani

Il pubblico di Parigi attendeva con impazienza

che Gioachino Rossini gli presentasse

una nuova opera francese, scritta

appositamente per uno dei teatri della capitale:

sino a quel momento il prestigioso

directeur de la musique et de la scène del

Théâtre Italien, la personalità più in vista

del mondo musicale parigino, non aveva

offerto che riprese delle sue opere italiane

o riadattamenti francesi delle stesse,

come Le siège de Corinthe o Moïse et

Pharaon. Il catalogo rossiniano si era arricchito,

a Parigi, di un solo titolo nuovo:

Il viaggio a Reims, dato al Théâtre Italien

nel giugno 1825 a corredo dei festeggiamenti

per l’incoronazione di Carlo X di

Borbone.

Una buona occasione si presentò quando

Rossini venne a conoscenza di un divertente

soggetto, che aveva destato l’interesse

e la curiosità dei parigini. Il tema

proveniva da una ballata medievale diffusa

a fine Settecento e incentrata sulle gesta

erotiche del conte Ory, un cinico libertino

che ai piaceri della caccia e dei bagordi

in allegra compagnia unisce quello

delle conquiste femminili. Grazie al travestimento

e all’inganno il conte e i suoi

quattordici cavalieri si introducono nel

monastero di Formoutiers, dove seducono

le monache e la loro giovane e avvenente

badessa. Da questa ballata Eugène

Scribe, in collaborazione con Charles-Gaspard

Delestre-Poirson, aveva tratto un

vaudeville in un atto, che era andato in

scena nel 1816 al Théâtre du Vaudeville.

Rossini riprese il soggetto, rielaborò il testo

di Scribe facendosi aiutare dal tenore

Adolphe Nourrit e ne ricavò il libretto

del “melodramma giocoso” Le comte

Ory. Per la musica aveva a disposizione la

partitura del Viaggio a Reims: quell’opera,

infatti, non era nata per circolare nei

teatri. Composta per una circostanza eccezionale

e irripetibile, non era più utilizzabile

al di là della specifica occasione

per cui era stata creata: non da ultimo

perché metteva in scena ben diciotto personaggi,

almeno una decina dei quali dovevano

essere interpretati da cantanti di

prima sfera (ciò che esulava, naturalmente,

dalle possibilità di un normale teatro

d’opera). Ma era un vero peccato, perché

Il viaggio a Reims conteneva bellissime

pagine di musica; così Rossini decise di riprenderne

quattro pezzi (cioè una buona

metà dell’opera) e di trasferirli, con qualche

adattamento, nella nuova partitura.

Naturalmente gli servivano versi nuovi, in

francese, che potessero essere rivestiti

dalla musica già esistente; per questo modificò

gli alessandrini ben levigati di Scribe,

che se ne risentì e alla fine volle che

dal libretto fosse tolto il suo nome. Le

comte Ory andò in scena all’Opéra il 20

agosto 1828, con interpreti di rango tra i

quali spiccavano Nourrit e il soprano

Laure Cinti-Damoreau. Accolta da un

successo entusiastico, l’opera entrò subito

in repertorio e venne riproposta con notevole

frequenza negli anni successivi.

Nel nuovo lavoro rossiniano la vicenda è

modificata in modo da renderla meno

scollacciata rispetto all’originale: così il

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monastero diventa un castello medievale,

la badessa si trasforma in una contessa, le

monache nelle dame che aspettano i mariti

di ritorno dalle crociate, e i cavalieri

che muovono all’assalto del castello non

si travestono più da monache ma da semplici

pellegrine. Rimane intatto, comunque,

il tono irriverente di fondo: una maliziosa

ironia investe non solo la pubblica

morale, ma anche la seriosa moda medievaleggiante,

di matrice romantica, che all’epoca

dilagava in tutta Europa. Non

mancò, infatti, il risentimento di una parte

del pubblico per il fatto che un soggetto

così impertinente fosse presentato nel

tempio dell’opera lirica francese.

Ma non fu questo, forse, il solo motivo di

disorientamento: i conti non tornavano

del tutto nel rigido sistema dei generi che

regolava, all’epoca, il mondo dell’opera in

musica. Malgrado il soggetto intriso di

una certa carica dissacratoria, Le comte

Ory non assume la veste di un tipico opéra

comique, nel quale ci si aspetta una

mescolanza di musica e dialoghi recitati (i

recitativi, qui, sono tutti accompagnati). E

qualcos’altro non quadra: la figura dell’innamorato,

per esempio, presenta

aspetti caricaturali e ambigui, che la rendono

anomala rispetto al tradizionale

“amoroso”, presente in ogni opera comica

ma solitamente trattato con maggiore

serietà. Neppure la musica adotta il tono

e lo stile boulevardier, da teatro leggero,

che forse ci si aspetterebbe. Nonostante

la levità dell’argomento, Le comte Ory è

una partitura di grande impegno: vi si trovano

raffinatezza di scrittura, articolazioni

formali complesse, melodie dal respiro

ampio anziché i facili, orecchiabili motivetti

adatti ai couplets dei personaggi comici

francesi. Inoltre la scrittura vocale è

florida, molto impegnativa, e spinge i cantanti

– soprattutto il tenore, alle prese con

una tessitura particolarmente acuta – ai

limiti delle loro possibilità. Anche il linguaggio

timbrico e armonico è sottilmente

differenziato: la scrittura strumentale è

accurata, alla maniera francese, l’orchestra

nutrita, i colori sempre variati.

Una raffinatezza gallica, insomma, che si

unisce alla sottile ambiguità del gioco

erotico, anch’essa molto francese: Le

comte Ory, in questo, sembra assumere

una posizione di retroguardia, sembra

guardare al Settecento più che ai tempi

nuovi, con i tenori romantici dalla vocalità

enfatica che a Rossini facevano orrore.

Quest’opera dimostra chiaramente

quanto il pesarese si sentisse estraneo al

suo tempo: e non sarà per caso se di lì a

pochi mesi, compiuta l’immane fatica del

Tell, cesserà per sempre di scrivere per

il teatro musicale

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