venerdì, Marzo 29, 2024

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“Shakespeare Hamlet”, libero adattamento di Shahram Almadzadeh

fotoÈ uno spettacolo che sconcerta lo spettatore la cui intelligenza viene messa a dura prova sia per le modalità del racconto, sia per la scansione temporale dell’azione drammaturgica. Ma è il regista Arash Dagdar che ci suggerisce di fare mente locale sul nome della compagnia iraniana da lui diretta: “Quantum Group Theatre”. Quantum è il singolare dei Quanta cioè della fisica quantistica. Se ne ripassiamo il significato avremo trovato la chiave di lettura di questo Hamlet. La fisica quantistica sembra sfidare il nostro senso comune, proponendoci una descrizione del mondo in cui le regole di base che governano la realtà vengono sovvertite, in cui una cosa può essere in due posti contemporaneamente. Allora si spiega lo sconcerto iniziale. Il regista ha visto, rivisto e riletto a modo suo l’Amleto di Shakespeare. Smonta la vicenda del principe di Danimarca e la rimonta violentando a volte i tempi del racconto scespiriano, ma la ricompone con una serie di tasselli che si incastrano progressivamente in un mosaico di notevole spessore narrativo. Il fantasma del padre (che in scena è più giovane del figlio) non sarà forse frutto della fantasia di Amleto? Il pallido prence ama Ofelia o se ne prende gioco? Perché Polonio e Laerte gli sono ostili? E tante altre domande che già Shakespeare proponeva vengono riproposte con maggior forza dal regista iraniano che, con l’alibi del “quantum” racconta più di quel che dice. Il suo è il risultato del lavoro di immaginazione, basato sul corpo e sulla voce dei bravissimi attori. Una pièce che sarebbe ancora più godibile se non fossimo costretti a utilizzare gli occhi in modo biunivoco, guardare cioè la scena e leggere i sovratitoli che traducono in italiano la lingua farsi. (Lingua parlata da 80 milioni di persone in Iran, Tagikstan e Afganistan).

Spettacolo con tangenze comiche e apparentemente demenziali recitato in modo superbo dai (ripeto) bravissimi attori con la splendida regia di Arash Dagdar.

Belle e funzionali le scene, i costumi e le musiche.

Il linguaggio e le invenzioni registiche sono eccezionali: dalla scena di Amleto che batte a macchina la commedia che disvelerà la colpevolezza dello zio e della madre, alle “censure” di Polonio e Laerte che tagliano a pezzetti le pagine di libri e giornali e, last but not least, alla modalità con cui il regista fa morire i personaggi.

Se all’inizio lo spettatore è stato vittima di un certo (giustificato) sconcerto, alla fine gli applausi lunghissimi, entusiasti e meritati decretano il grande successo dello spettacolo.
 

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