Il primo teatro in Italia ad aderire al Google Cultural Institute presenta la visita virtuale degli spazi interni con Street View e la mostra digitale Eduardo De Filippo al Teatro della Pergola.
Il Teatro della Pergola di Firenze è il primo teatro in Italia, terzo in assoluto dopo l’Opéra di Parigi e il National Theatre di Londra, ad aderire al Google Cultural Institute, la piattaforma sviluppata da Google per rendere accessibile in Rete il patrimonio artistico delle più importanti istituzioni culturali del mondo.
Collegandosi a www.google.com/culturalinstitute/collection/teatro-della-pergola si potranno visitare gli interni del teatro con Street View di Google maps e ammirare la mostra digitale permanente Eduardo De Filippo al Teatro della Pergola, che racconta, attraverso preziosi documenti quali manoscritti, lettere autografe, fotografie e video storici, il percorso tra le memorie di Eduardo raccolte alla Pergola negli anni tra il 1940 e il 1984.
La visita virtuale con Street View
Sfruttando la tecnologia di Google Street View attraverso un’apparecchiatura soprannominata ‘Trolley’, in grado di raccogliere le immagini e trasferirle su Google Maps, è stata realizzata una mappatura fotografica in alta definizione degli interni del Teatro. Da oggi sarà così possibile effettuare, ovunque ci si trovi nel mondo, un tour virtuale del più antico teatro all’italiana, visualizzando percorsi e opere con un dettaglio straordinario. Si potranno osservare da vicino le decorazioni delle volte degli ingressi e del soffitto, si potrà entrare nella Sala Grande e spingersi oltre il Sipario Storico dipinto nel 1828 da Gasparo Martellini, passeggiare dietro le quinte sul palcoscenico, soffermarsi davanti al ‘telefono acustico’ di Antonio Meucci ed entrare nel Primo Camerino di Eleonora Duse e nei sotterranei.
In Italia il ‘Trolley’ è stato inaugurato nel 2001 per la mappatura degli interni degli Uffizi, come parte della prima edizione del Google Art Project. Fino ad ora è stato impiegato in oltre 150 luoghi in Italia e nel mondo, tra cui i Musei Capitolini, lo Space Science Museum in Giappone, la Casa Bianca e i rifugi in Antartide come lo Shackleton’s Hut e lo Scott’s Hut.
Eduardo, come tutti i grandi uomini di teatro, ebbe diverse città di elezione: la natia Napoli, Roma che lo vide debuttare bambino al Teatro Valle e Firenze dove la sua “casa” era il Teatro della Pergola. Un rapporto speciale, fatto di repliche memorabili, celebri debutti e del sogno di una Scuola di Drammaturgia, attraverso la quale trasmettere il suo sapere alle generazioni future. Un rapporto speciale arricchito e consolidato dalla particolare sintonia con Alfonso Spadoni, allora direttore del Teatro. A trent’anni dalla sua scomparsa, Eduardo De Filippo al Teatro della Pergola (1940-1984) ripercorre, attraverso immagini ad alta risoluzione di manifesti, documenti autografi ed inediti, fotografie e video, una storia di successi e tradizione che va dal 1940 al 1984 e che immortala un grande uomo di teatro nella sua vera casa: il Teatro.
Il Google Cultural Istitute
Avviato nel 2010, il Google Cultural Institute si occupa di sviluppare tecnologia con l’obiettivo di promuovere e preservare la cultura online. Tutti i progetti del Google Cultural Institute sono frutto di collaborazioni strette con importanti partner italiani e internazionali: musei, fondazioni, siti di interesse culturale, archivi e altre istituzioni che gestiscono i contenuti di cui sono proprietari all’interno delle piattaforme tecnologiche messe a disposizione da Google.
Tra i progetti più recenti ad opera del Google Cultural Institute vi è la realizzazione di un archivio di Mostre Digitali. A partire dalla fruttuosa collaborazione con la Fondazione Nelson Mandela e con l’Archivio Yad Vashem, che ha reso accessibili migliaia di documenti, si è giunti ad ottobre 2012 al lancio di 42 mostre online che raccontano alcuni degli accadimenti storici che hanno segnato il XX secolo da diversi punti di vista. Tra questi l’Olocausto, l’Apartheid, la fine della Cortina di Ferro e il periodo della Dolce Vita, che ha caratterizzato l’Italia tra gli anni ‘50 e ‘60. Ancora una volta, tutto questo non sarebbe stato possibile senza la collaborazione con le istituzioni culturali che hanno aderito al progetto, prime tra tutte, in Italia, l’Istituto Luce Cinecittà.
Le oltre 700 mostre ad oggi disponibili sul sito del Google Cultural Institute sono solo l’inizio di un percorso che andrà avanti nel tempo, approfondendo nuovi temi, soggetti e periodi storici di riferimento.
Attraverso queste mostre, il Google Cultural Institute persegue l’obiettivo di accrescere il numero di informazioni di natura culturale disponibili online, in linea con la missione stessa di Google.
Partendo dalla mostra digitale, o direttamente da Google Maps, una volta varcata la soglia dell’ingresso principale, i visitatori virtuali possono attraversare tutti i luoghi del Teatro e soffermarsi, con una nitida visione a 360°, su alcune delle opere che ne raccontano la storia e il prestigio nel mondo.
Nell’atrio d’ingresso spiccano due dipinti neoclassici: La morte di Lucrezia di Giuseppe Collignon, che raffigura una delle donne simbolo della storia di Roma antica, modello di integrità morale, ed Ettore che rimprovera Paride per la sua mollezza, in cui Pietro Benvenuti, per ispirare solennità e grandezza etica, dà immagini e colori al VI canto dell’Iliade nel quale Ettore, principe ed eroe dei Troiani, esorta il fratello Paride a tornare a combattere al suo fianco, invece di oziare con la bella Elena.
Salendo un’ampia scalinata in pietra serena si accede al foyer, l’Atrio delle Colonne, e da qui nella Sala Grande, che dischiude allo sguardo digitale il più antico teatro all’italiana a palchi sovrapposti.
Gli occhi possono correre fino al soffitto, alle decorazioni di Michele Garinei, che rappresentano La glorificazione dell’Arte lirica e poetica. Dalla parte di bocca d’opera l’Arte musicale, troneggiante al centro della composizione, è circondata da figurazioni musicali. Essa ispira le diverse manifestazioni: la Gagliardia, che tiene in alto, con la destra, un ramo d’olivo, con il frutto, attorno al quale volano delle api; l’Allegria, raffigurata in un gruppo di due putti uno dei quali ne sostiene l’emblema consistente nella coppa e nella tazza d’oro; il Dolore, con il seno sanguinante, squarciato da un serpe roditore.
Nella parte opposta, la Poesia, al centro, cinta di lauro, ha alla sua destra l’Eleganza che sostiene uno specchio, alla sua sinistra la Fantasia con la testa e le braccia alate, con nella mano destra uno scettro sormontato da un occhio. Questo ispira l’Eloquenza effigiata in Mercurio. Il Pensiero filosofico, simboleggiato da un vegliardo in atto di meditare, e la Gloria, sostenente una ghirlanda, completano le virtù che insieme all’Ardire, raffigurato da un uomo robusto in atto di svellere con un ferro la lingua di un leone, concorrono a produrre l’Abbondanza e la Gaiezza, simboleggiate da due figure che sorreggono l’una un fascio di grano, l’altra dei fiori.
Ai lati più stretti del soffitto stanno due gruppi di putti allusivi alle due Arti che si integrano fra loro e servono di raccordo alle due composizioni.
Il palcoscenico è chiuso dal Sipario Storico, dipinto da Gasparo Martellini (pittore della scuola del già citato Benvenuti) e raffigurante L’incoronazione del Petrarca in Campidoglio. Su commissione dell’Accademia degli Immobili, l’artista fiorentino concepì una complessa allegoria di grande solennità narrativa. Un tortuoso corteo si snoda fra edifici classici e ha al centro una maestosa struttura: un carro trionfale, sul cui seggio è seduto Petrarca; intorno suonatori, uomini illustri e, fra le figure allegoriche, la Pazienza, virtù necessaria al Poeta. Il Sipario Storico fu inaugurato per la riapertura del Teatro nel 1828 e viene utilizzato tutt’oggi, grazie al restauro del 2008 che ne ha integrato lacune, corretto integrazioni provenienti da precedenti restauri e ripristinato la movimentazione.
Grazie alla tecnologia di Google Street View, i visitatori digitali possono attraversare il Sipario Storico e accedere a spazi solitamente chiusi allo sguardo dei comuni spettatori: il dietro le quinte del Teatro.
Qui ci si può soffermare sul ‘telefono acustico’ di Antonio Meucci. Anni Trenta dell’Ottocento, la torpida Firenze degli ultimi Lorena. Il Teatro della Pergola è il palcoscenico privilegiato dell’opera lirica, il luogo di elezione di compositori come Gaetano Donizetti. Al timone dell’attività siede Alessandro Lanari, il “Napoleone degli impresari”, l’uomo venuto da San Marcello di Jesi. Il palcoscenico è tutto un fremere di attività, macchinisti, attrezzisti, scenografi, aiutanti, comparse lavorano alla costruzione dello “spettacolo meraviglioso”, il melodramma. Antonio Meucci approda alla Pergola come macchinista e dal 1833 al 1835 lascia il proprio geniale segno nel sistema di comunicazione a voce tra palcoscenico e ballatoi: è l’antenato del telefono, che Meucci perfezionerà poi, ingegnosamente, ma senza fortuna, una volta emigrato negli Stati Uniti.
Il teatro, un’arte dalla memoria difficile, rivive attraverso gli oggetti di uso comune, e racconta agli spettatori di oggi la storia silenziosa di coloro che li hanno preceduti. Nel dicembre 1906 arriva alla Pergola Eleonora Duse, la divina, con il leggendario Rosmersholm di Ibsen diretto da Edward Gordon Craig: una targa ricorda che il Primo Camerino del Teatro accanto al palcoscenico fu costruito per lei e ancor oggi continua ad essere abitato, sera dopo sera, da tutti i più grandi protagonisti del Teatro italiano e internazionale.
Tornati nel foyer si può salire verso la Sala Oro, dove campeggia lo stemma dell’Accademia degli Immobili, il gruppo di nobili fiorentini che fondarono e costruirono il Teatro tra il 1652 e il 1656. Un grande mulino reca il motto “In sua movenza è fermo”, perché le loro azioni erano “mosse dalla fermezza della virtù”. Le pitture della volta, commissionate dagli stessi Accademici a Michele Garinei nel 1912, raffigurano cinque delle nove Muse delle arti: Polimnia, l’ode, vestita di bianco che regge un libro con scritto ‘Suadere’, Tersicore, la danza, con cetra, plettro e lira, Melpomene, la tragedia, con stiletto e scettro, Euterpe, la poesia lirica, con un flauto, Talia, la commedia, con una maschera cinta d’edera. Nel Saloncino, invece, sono raffigurati, al centro della parete di fondo, Apollo con la lira, e ai lati, in due distinti pannelli, dei putti che, con in mano strumenti musicali dei tempi eroici, incedono verso il dio di tutte le arti.
Eduardo De Filippo al Teatro della Pergola (1940-1984)
A cura di Gabriele Guagni
Coordinamento digitale Chiara Zilioli
Hanno collaborato Claudia Filippeschi, Riccardo Ventrella
Traduzioni Claudia Filippeschi
Si ringraziano Samuele Batistoni, Andrea Di Bari, Filippo Manzini
Un ringraziamento speciale a Lucrezia Scarpinelli Spadoni
Eduardo con i fratelli Titina e Peppino debutta per la prima volta alla Pergola nel 1940 con la commedia Uomo e galantuomo. Dopo il buon esito dell’esperimento, il direttore del Teatro Aladino Tofanelli invita la compagnia anche nella stagione 1941/1942 con la prima assoluta di Io, l’erede e nelle stagioni successive replicano molti dei suoi spettacoli di repertorio.
Negli anni della guerra e fino al termine del conflitto il gruppo lavora solamente nella propria città natale e a Roma.
Nell’immediato dopoguerra Eduardo e Peppino si separano: la sorella Titina rimane con Eduardo nella compagnia del “Teatro di Eduardo”, che torna a calcare i palcoscenici di tutta Italia, compresa la Pergola, appena riaperta dopo gli importanti lavori di restauro resi necessari dai danni del conflitto.
Nei primi anni Cinquanta la fama di Eduardo cresce a dismisura, anche al di fuori dei confini nazionali.
Nel 1961, il neo direttore del Teatro Alfonso Spadoni, giovane funzionario poco più che trentenne, brillante e dotato di idee innovative, richiama la compagnia di Eduardo per risollevare le sorti del Teatro che sta attraversando un momento di crisi di pubblico e porta in scena Il sindaco del rione Sanità e Sabato, domenica e lunedì. Dopo le date fiorentine, la compagnia De Filippo parte per il suo viaggio in tutta Europa e al rientro in Italia inizia per la RAI un ciclo di registrazioni televisive delle commedie di Eduardo che la terrà la impegnata per i due anni successivi.
Nel 1964 Eduardo, ospite del Maggio Musicale Fiorentino, torna alla Pergola come regista di lirica per l’allestimento de Il naso di Shostakovich.
Dopo il catastrofico evento dell’alluvione del 4 novembre 1966 il Teatro riapre solo nel dicembre dell’anno successivo, ma anche in questa drammatica interruzione s’intensificano i rapporti tra Eduardo e Alfonso Spadoni.
Tra il 1968 e il 1975 Eduardo è di casa a Firenze con le sue opere più celebri: Natale in casa Cupiello, Filumena Marturano, Sabato, domenica e lunedì, Le voci di dentro, Questi fantasmi.
Nel 1970 sceglie Firenze per la ‘prima’ mondiale de Il Monumento e per la prima volta, derogando al suo principio di non presentare mai le proprie commedie, scrive una breve “premessa” che appare sul programma di sala. Poi ancora, dopo le repliche di Cani e gatti, Le bugie con le gambe lunghe, Il sindaco del rione Sanità, Na Santarella, nel gennaio 1974 presenta alla Pergola la prima mondiale della commedia Gli esami non finiscono mai e l’anno successivo il debutto della commedia di Eduardo Scarpetta Lu curaggio de nu pompiere napulitano.
Da allora Eduardo torna alla Pergola solo nel 1980, agli spettatori fiorentini offre ora affettuosamente la prima nazionale del suo nuovo spettacolo composto da un trittico di atti unici Gennariello, Dolore sotto chiave e Sik-Sik, l’artefice magico, composti in epoche diverse e sin qui mai riuniti in un unico “corpus” scenico. Infine realizza finalmente il sogno di una Scuola di Drammaturgia, un progetto a lungo meditato insieme a Spadoni dalla fine degli anni Settanta. Le lezioni cominciano il 21 aprile tra la Sala Ballo e il Saloncino del Teatro e terminano a fine giugno con la scrittura della commedia Simpatia, elaborata dagli allievi partendo da un’idea di Eduardo, che sarà poi pubblicata da Einaudi. Tra gli inediti in mostra, il video che Alfonso Spadoni realizzò nel 1980 durante le lezioni di Eduardo e che montò subito dopo la morte del Maestro. Un documento straordinario che riassume potenza e lungimiranza di due protagonisti, a loro modo, del teatro del Novecento.
Dopo la felice esperienza della scuola, Eduardo negli ultimi anni della sua vita non torna più alla Pergola, ma continua a mantenere con Spadoni un rapporto di stima e fiducia reciproca, testimoniato anche dalla numerosa corrispondenza, sempre colma di stima e affetto.