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La carta più alta

fotoRiduzione di Angelo Savelli

con Giovanna Brilli, Andrea Bruno Savelli, Raul Bulgherini, Luca Corsi, Sergio Forconi, Francesco Franzosi, Massimo Grigò, Ivan Periccioli, Anna Serena
e con la partecipazione in video di Aldo Bagnoli

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Il quarto libro della serie del Bar Lume, opera del chimico giallista Marco Malvaldi, prende vita scenica e diventa commedia teatrale dal tono vernacolare, impersonata dalla Compagnia del Pepe con la preziosa collaborazione di Pupi e Fresedde, che al teatro di Rifredi gioca in casa. Aldo, Pilade, Ampelio e Gino, quattro signori che sotto il capo canuto mantengono ancora un cervello sveglio e uno spirito toscanaccio, scoprono, ficcando il naso negli affari degli altri, qualcosa che non va, e lo sottopongono alla mente arguta del barrista Massimo (Andrea Bruno Savelli, che ha curato anche la regia) e quella attenta ma senza troppe pretese del commissario Fusco. Questa volta il loro rocambolesco intuito si è imbattuto in una compravendita che sembra nascondere qualcosa di più, qualcosa che toccherà a Massimo, investigatore per affibbiatura più che per caso, svelare, rimettendoci pure un ginocchio. La caratterizzazione dei personaggi, squisitamente letteraria e dannatamente italiana, colora la vicenda di tonalità molto più varie del semplice giallo, alleggerendo la narrazione senza che a farne le spese sia il cuore sospeso a mezz’aria di ogni spettatore di polizieschi che si rispetti. Una giovane banconiera in cerca di prospettive di vita migliori, una frizzante signora che vuole proteggere la storia della sua famiglia e un brioso medico la cui collaborazione al caso si dimostrerà essenziale per la sua risoluzione completano la schiera di attori. L’atmosfera sul palco è familiare per chiunque abbia vissuto la Toscana d’estate, adagiata su un incanto paesaggistico che quasi la assopisce, scrollata dai modi bruschi di bagnini e locandieri, ma bramata per tutto l’inverno da sorrisi e ricordi sinceri. Sugli spalti, dalle sdraio, quasi indifferenti alle prime battute, ci si desta insieme alla vicenda e ai personaggi che la vivono, sollevando dal naso gli occhiali da sole e bracando negli affari degli avventori del bar, con sguardi attenti e mal celato, pettegolo interesse. I dialoghi sembrano, però, in qualche modo, non riuscire a svestire i panni di romanzo, e così di alcuni dettagli si sente il bisogno di sapere  o leggere – di più, di altri si fatica a capire la menzione. Ci si mangia le mani, insomma, per non aver notato prima cosa accadeva sotto l’olmo, a pochi passi dal proprio ombrellone, o forse per non aver letto i romanzi della nuova promessa del giallo italiano.

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