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Sebastiano Lo Monaco in “Dopo il silenzio”

Foto di Tommaso Le Pera
Foto di Tommaso Le Pera

Dopo il successo di “Per non morire di mafia”, Sebastiano Lo Monaco torna ad offrirsi alla lezione di Pietro Grasso con un nuovo spettacolo dal titolo evocativo. Tratto da Liberi tutti, scritto dallo stesso Presidente del Senato, “Dopo il silenzio” è un tuffo nella memoria di chi ha deciso di reagire ed agire contro la mafia. Una memoria privata che si mette al servizio della collettività, esortandola, attraverso un testo vitale e toccante, alla partecipazione e alla rivolta morale.

Diretto da Alessio Pizzech, Lo Monaco torna a vestire i panni di Pietro Grasso. Questa volta, però, sulla scena non è solo. Se infatti “Per non morire di mafia” raccontava, in forma di monologo, la scelta professionale di Grasso come magistrato impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, “Dopo il silenzio” è un vibrante viaggio in una dimensione più privata. In questo spettacolo entra in scena il personaggio di Mariangela D’Abbraccio, che nella realtà è la moglie di Grasso, Maria Fedele. Insegnante in un quartiere ad alto rischio di contaminazione con il fenomeno mafioso, Maria Fedele è impegnata nell’educazione e nel recupero dei ragazzi. Una spinta morale che, seppur in un ambito diverso, unisce anche professionalmente il suo destino a quello del marito.

«Il dialogo tra generazioni – racconta Pizzech – diventa l’asse attorno cui ruota la scrittura scenica di “Dopo il silenzio”». Ed è proprio il dialogo serrato e dinamico, originato dall’urgenza di salvare il giovane mafioso interpretato da Turi Moricca, ad essere il vero punto di forza di questo spettacolo. Un confronto acceso, che inizialmente assume i caratteri di un vero e proprio scontro, per divenire man mano incontro dialettico. Nel tentativo di far comprendere l’importanza dell’etica e della legalità, si crea infatti una comprensione, un abbraccio ideale tra i personaggi, che riempie il teatro di speranza. Forse per quel ragazzo è già tardi, ma vale la pena tentare fino alla fine perché «anche salvarne uno soltanto è importante».

Grazie all’adattamento drammaturgico di Francesco Niccolini, piccole vicende personali, ricordi, ed esempi di moralità, fanno del palcoscenico il luogo della Storia. Lo spettatore, quindi, è invitato ad osservare l’esperienza umana in tutte le sue contraddizioni, a conoscerle e ad interrogarsi, per rifondare se stesso. Solo abbandonando l’indifferenza e la paura, infatti, sarà possibile dar vita ad un Paese più civile.

Uno spettacolo in cui tutto scava nell’animo umano. Anche le luci (Luigi Ascione), puntate sugli interpreti come lame taglienti, sembrano farlo. Ma è la coralità degli elementi scenici ad essere vincente. Non solo essi accompagnano il racconto dei personaggi, ma in alcuni casi fanno da vero e proprio supporto allo sviluppo degli eventi. Forte l’impatto emotivo del grande monitor posto alle spalle degli interpreti, sul quale vengono trasmesse immagini e frammenti di filmati d’epoca. Anche le musiche (Dario Arcidiacono) ed i canti originali (Carlo Muratori) s’inseriscono nella narrazione, a volte con delicatezza altre con irruenza, accompagnando il flusso d’emozioni dello spettatore.

Ma questi elementi non sono altro che la cornice all’interno della quale si muovono, fisicamente e dialetticamente, i tre personaggi. Sebastiano Lo Monaco ci regala un’interpretazione matura ed energica, in cui alterna momenti di dolore e sorprendenti punte d’ironia senza mai perdere autorevolezza. I gesti frenetici ed il tono da gradasso di Turi Moricca raccontano l’arroganza, ma anche la fragilità, di un giovane che per darsi delle opportunità ha tragicamente votato la sua vita alla criminalità organizzata. È la figura di Mariangela D’Abbraccio, tuttavia, a toccare le corde più profonde dell’animo dello spettatore. Fiduciosa, tenace ed ironica, riempie di calore e positività la scena. Un accorato invito ad avere coraggio, a parlare. È in lei che si racchiude la speranza più grande ed è lei che la trasmette al pubblico.

La mafia ed il silenzio che l’alimenta; la necessità di reagire che si scontra con la capacità di trovare il coraggio; un faccia a faccia con la storia del nostro Paese e con le scelte che ciascuno compie nel quotidiano. Temi complessi, delicati. Una realtà che avrebbe potuto stordire lo spettatore, spaventarlo, ed invece ciò che resta è una grande gioia. L’esempio che da speranza, che non ci fa sentire soli, ma stretti l’uno all’altro in un abbraccio immaginario che è quello con cui il pubblico ha omaggiato gli attori a fine spettacolo.

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