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“Il malato immaginario” di Molière. Traduzione di Cesare Garboli

fotoPer ricordare Franco Parenti a venticinque dalla morte, Andrée Shammah decide di (ri)mettere in scena quel “Malato Immaginario” di Molière che nel 1980 inaugurò la stagione del Pier Lombardo e che vide uno straordinario Franco Parenti nelle vesti di Argan e la stessa Ruth Andrée Shammah nella sua più importante regia da quando era parte attiva nel sodalizio artistico con Parenti. Nella conferenza stampa la Shammah, ancora regista dello spettacolo, conferma che, per quanto ha potuto, ha mantenuto la struttura della rappresentazione così com’era con l’impianto scenico e i costumi di Gianmaurizio Farcioni.

Il mio ricordo dello spettacolo è un po’ sbiadito (la mia attenzione allora era rivolta a concrete attività aziendali), ricordo Argan seduto su una poltrona rossa avvolto nelle sue vestaglie e sciarpe, mutandoni, calzettoni, cuffia con comica staticità e sguardo spaventato e furbo, ricordo un’eccezionale Lucilla Morlacchi che ci ha lasciati qualche mese fa. Ma devo confessare che la mia scarsa memoria dello specifico rende il mio giudizio obiettivo non essendo influenzato dalla retromania, dalla nostalgia e dalla fascinazione che sempre il passato induce.

Andrée Ruth Shammah regista del “Malato immaginario” interpreta l’opera di Poquelin in arte Molière, in modo filologicamente corretto. Attenua forse i toni drammatici per privilegiare la grande struttura comica del testo che stinge in smorfia, amarezza e veicola serie riflessioni sui disvalori della società, sulla vita e la morte. Argan/Molière sviluppa il discorso sull’illusione della salute senza lo sgomento esistenziale che ricordiamo in altre versioni.

Il grottesco prevale sulla farsa, la comicità è bonaria e immediata. Argan tenta di esorcizzare la nevrosi della malattia, aggravata dalla natura immaginaria, con il ricorso alla medicina per sottrarsi al pensiero, in verità non immanente, della morte. D’altra parte la malattia certifica l’esistenza in vita quindi inganna la morte.

Se è vero che vivere è essere malati che cioè sin dalla nascita tutti siamo malati terminali è altrettanto vero, e ben si addice al nostro personaggio, quel diceva Enzo Jannacci in “Quelli che…quelli che vivono da malati per morire da sani”.

La rappresentazione, curata da Gianmaurizio Farcioni si svolge in un ambiente piuttosto asettico con una poltrona rossa su cui siede Argan, due sedie, un tavolino pieno di pozioni e attrezzi medicali. La stanza vuole essere la metafora della sua solitudine e la prigione della sua nevrosi/depressione.

In breve la storia.

Argan, ossessionato dalla propria salute e convinto che non ci sia nulla di più importante della medicina, ha deciso di dare in moglie la propria figlia a un medico goffo e pedante che è invece innamorata di un bel giovane. Accanto ad Argan trama la sua seconda moglie che vuole impossessarsi dell’intero patrimonio del marito. A dar man forte alla figlia c’è una serva molto determinata che, con l’aiuto del fratello saggio del “malato”, convince Argan a fingersi morto. La reazione di grande cinismo e soddisfazione della moglie e la genuina disperazione della figlia lo convince a scacciare la moglie e dare in sposa la figlia al suo innamorato, a patto però che il giovane diventi medico. Nel finale Argan, che accetta di essere insignito ad honorem del dottorato in medicina, rimane solo sulla sua poltrona mentre le luci si abbassano fino a spegnersi

Dietro al protagonista malato immaginario, c’è Molière malato vero. E’ l’attore Molière che muore nel suo personaggio come avvenne realmente alla “Commedie Francaise” la sera del 17 febbraio 1673.

Gioele Dix rientra perfettamente nello stereotipo di Argan, è padrone della scena e, all’occorrenza, sa essere comicamente melenso, piagnucolone, furioso, accomodante, imperioso. E sempre misurato. Grande prova di attrice quella di Anna Della Rosa che interpreta con incredibile bravura, giocando su diversi ruoli, il personaggio della serva Tonina. Lui, Argan dà corpo alla nevrosi, Tonina al sano pragmatismo. Ottima l’interpretazione dei giovani Francesco Brandi nelle vesti di Tommaso Purgon e Francesco Sferrazza Papa in quelle di Cleante (personaggio interpretato nel 1980 da Gioele Dix!!). Bravissimi tutti gli altri da Marco Balbi (professor Purgon) a Piero Domenicaccio (Professor Fecis), Alessandro Quattro, Linda Gennari, Valentina Bartolo, Pietro Micci.

Molto belli i costumi disegnati da Gianmaurizio Fercioni, funzionali il servizio luci di Gigi Saccomandi e le musiche di Michele Tadini e Paolo Ciarchi.

Se lo spettacolo è così bello, applaudito da pubblico e critica il merito non può che andare alla regista Andrée Ruth Shammah.

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