È ironico come il teatro, in modo profetico, si colleghi all’attualità e dia dei codici di lettura che esulano dal semplice svolgersi di fatti e vicende contingenti, di cui non conosciamo bene le dinamiche. È freschissima, infatti, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, democristiano da decenni, divenuto il 31 gennaio la massima figura istituzionale del nostro Paese. Lo spettacolo L’Onorevole – regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi – andato in scena all’Arena del Sole di Bologna, mi ha portato alla mente questi fatti di cronaca politica e mi ha fatto riflettere su quanto poco le cose siano cambiate negli anni. Ma si sa, come dice Sciascia in questo dramma di tre atti scritto nel 1965, “la storia gode di scarsa considerazione nella coscienza degli italiani”.
Lo scrittore siciliano narra la vicenda del professor Frangipane che, nell’estate del 1947, riceve una visita da Monsignor Barbarino che lo esorta a candidarsi in politica, nelle fila democristiane, perché il paese, anzi, l’Italia intera, ha bisogno di essere guidata da persone oneste e valorose. Così il professore di provincia, amante della lettura, con una particolare predilezione per il Don Chisciotte, inizia la sua scalata verso il potere che lo porterà, piano piano, a dimenticare l’errore che commetteva quando era dietro la cattedra, ovvero scambiare la politica con l’etica. Sì perché Sciascia, attraverso la parabola di Frangipane, sembra voglia ricordare che questi due termini non possono in alcun modo essere accostati, e lo fa mostrando il cambiamento, lento e inevitabile dell’Onorevole, che dimenticherà ben presto le chimere Don Chisciottiane per dedicarsi alla pratica della politica fatta di compromessi e sotterfugi, di favori e insidie.
La moglie Assunta (interpretata da Laura Marinoni) però, non accetta di rinunciare all’anima sognatrice del marito, e soffre per il passaggio della sua famiglia dallo scomodo al comodo. Assunta inizia il suo percorso interiore leggendo tutti quei libri che il marito non ha più tempo nemmeno di sfogliare e impara a memoria la memorabile opera di Miguel de Cervantes. La metamorfosi del suo uomo è per lei motivo di profonda sofferenza e disagio. Frangipane, sentendosi ostacolato dal comportamento della moglie, si appella alla pazzia, panacea per chi non può permettersi, e non vuole, di comprendere un atteggiamento inusuale e intende farla rinchiudere in una casa di cura per liberarsi da quello che potrebbe essere un ostacolo alla sua ascesa.
La chiave registica di Enzo Vetrano e Stefano Randisi manca di guizzi grotteschi, la recitazione un po’ monocorde avrebbe, invece, potuto sfruttare di più l’aspetto tragicomico che si cela nel testo per raccontare l’ambiguità del potere e delle sue regole. Scenograficamente, l’avanzata politica è delineata attraverso il progressivo ampliamento delle pareti della stanza che via via diventa sempre più spaziosa e dalla piccola e angusta casa del professore si passa a un amplio appartamento con un arredamento sempre più sontuoso, pur sempre, però, grigio e asettico.
Nel finale, a sorpresa, anche la moglie Assunta ci viene mostrata ossequiosa nei confronti del successo e della popolarità, togliendo allo spettatore anche l’ultimo brandello di illusione che qualcuno possa rimanere integro in un mondo contaminato. E quell’epitaffio che Frangipane, ancora intellettuale, desidera sulla propria tomba si rivela perfetto per il finale, non solo della vita del protagonista ma anche dell’intera pièce: “contraddisse e si contraddisse”.