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L’uomo, la bestia e la virtù

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Foto di Sonia Santagostino

di Luigi Pirandello


Personaggi e Interpreti:

Il trasparente professor Paolino: Roberto Trifirò
La virtuosa signora Perella: Maria Ariis
Capitano Perella: Stefano Braschi
Il dottor Nino Pulejo: Vincenzo Giordano
Il signor Totò: Sergio Mascherpa
Rosaria: Giuditta Mingucci
Giglio: Stefano Braschi
Belli: Sergio Mascherpa
Nonò: Antonio Giuseppe Peligra
Grazia: Monica Conti

scene e costumi: Domenico Franchi
scene realizzate da Area Bianca Concept Factory
Scuola di Scenografia dell’Accademia Santa Giulia Brescia
in collaborazione con Sergio Cangini
disegno luci: Toni Zappalà
tecnica e fonica: Rossano Siragusano
assistente alla regia: Giuditta Mingucci
assistenti alle scene: Michela Andreis, Marina Garibaldi
assistente volontario: Diego Becce
regia di Monica Conti

produzione Elsinor

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La parola “ipocrita” deriva dal greco antico, come spiega il professor Paolini ai suoi alunni Giglio e Belli, e significa “colui che finge” ed era utilizzata inizialmente per definire gli attori che, giustamente, recitavano in scena. Nell’antica Grecia gli attori utilizzavano sempre delle maschere, che oltre a renderli ben visibili e riconoscibili anche in lontananza, avevano un’utilità acustica: erano una sorta di microfoni. Ci troviamo, in questa commedia, davanti a quelle maschere: i personaggi principali nascondono dietro a una facciata retta e onesta una doppia vita torbida e immorale.

L’equilibrio sta per rompersi, tuttavia: l’arrivo di un figlio indesiderato potrebbe far cadere a terra tutte le maschere, infrangendole.

Il professor Palini, “l’uomo”, con un ingegnoso stratagemma cercherà di barcamenarsi nelle angherie della vita, cercando di trasformare la “virtù” ovvero la signora Perella, in una tentazione che condurrà forse la “bestia”, ovvero il sanguigno comandante Perella, a cadere al tranello. Solo una sera di tempo per la buona riuscita dell’impresa.

Lo spettatore è accompagnato dentro la vicenda e freme insieme al professor Paolini per tutta la durata dello spettacolo sperando nella buona riuscita del piano.

La recitazione è fluida pur nei suoi dialoghi grotteschi, vuole rappresentare la doppiezza dell’animo umano e ciò si nota soprattutto nel cambio di registro della signora Perella, che passerà da donna timorosa e scossa dalle nausee a donna sensuale e più consapevole.

La scena fondamentale è rappresentata dal momentaneo crollo delle maschere di Paolini e della signora Petrella, dove lei si mostra imbellettata e scollacciata e lui per farla ridere improvvisa un’imitazione scimmiesca: in quel momento i due amanti ridono e uniti dal riso colgono la loro triste e tragica sorte di esseri umani.

Il testo di Pirandello è del 1919, appartiene alla seconda fase del teatro dell’autore, quella umoristico-grottesca, e infatti diverte di quel sorriso tipico Pirandelliano dove l’umorismo è il frutto di una riflessione sulla difficile e caduca situazione degli esseri umani, che ci porta a un sorriso di compassione e comprensione intima. Lo spettatore sarà portato infatti a partecipare alle triste sorti dei personaggi sulla scena, facendolo anche riflettere su una società che, in fondo, dopo un secolo è cambiata solo nella facciata.

La rilettura coinvolge molto lo spettatore, anche grazie ai bei costumi e alla scenografia semplice ma curata.

Svetta la bravura di Roberto Trifirò, ma non sono di meno la duttile Maria Ariis, Vincenzo Giordano, Sergio Mascherpa, Stefano Braschi, Giuditta Mingucci e Antonio Giuseppe Peligra.

Monica Conti, che svolge anche un piccolo cameo sulla scena, risulta essere un regista molto valida in questa rivisitazione del maestro Pirandello.

Consiglio a tutti di andare a vedere questo spettacolo, anche solo per scoprire quanti vasi di fiori all’alba verranno posti sul davanzale dalla signora Perella.

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