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Preferirei di no – Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini

fotoGaetano de Sanctis, Mario Carrara, Giorgio Levi della Vida, Vito Volterra, Lionello Venturi, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Bonaiuti, Fabio Luzzato, Piero Martinetti, Giorgio Errera, Francesco Ruffini, Edoardo Ruffini

Dodici uomini, dodici menti, dodici individualità grazie alle quali si può tingere con una pennellata di verde speranza il quadro di un pezzo di storia che siamo abituati a vedere in bianco e nero, un periodo che guardiamo con rammarico e sdegno, che studiamo sui libri di scuola, ma che ancora ci raccontano i nonni, che è passato ma non è così lontano, e inquieta un po’ anche noi più giovani che non l’abbiamo vissuto in prima persona. La storia dei dodici professori è una vicenda umana che si fa atto politico. Il coraggio posto nel non sottoscrivere il giuramento fu, forse inconsciamente, anche un gesto di grande lungimiranza; l’opposizione intellettuale al regime totalitario fu un’opposizione pacifica, silenziosa, clandestina, e difficilmente avrebbe visto risultati pratici immediati, nonostante il picco di militanza antifascista si ebbe proprio intorno all’anno 1930.

Dodici: è forse un numero così piccolo a rendere agli occhi della contemporaneità questo atto di maggior valore simbolico di una resistenza ferrea e pulita. A noi che guardiamo dal futuro queste dodici menti appaiono più forti di una o di mille. È quell’1% che è differenza qualitativa. Nei contesti in cui la tensione politica è così alta da contagiare e vincolare anche il più minuto angolo della vita quotidiana, ogni gesto assume la concretezza di un simbolo e diviene scelta politica. La potenza di questo gesto è quella di ristabilire, o quantomeno indicare, come dovrebbero modularsi i rapporti tra politica, etica e cultura, mostrando come debbano essere queste ultime ad influenzare la prima, e non viceversa. L’antifascismo per forza di cose assunse un significato politico, ma le differenti estrazioni sociali e culturali dei professori in questa vicenda mostrano come i sentimenti che trasportarono chi lo sostenne nascessero da fonti interiori elevate: la difesa della verità e della libertà di pensiero, della ricerca scientifica e della coscienza sociale; la libertà mentale espressa nell’individualità, la dignità umana, l’onestà intellettuale: valori che oltrepassano qualsiasi colore di bandiera.

Nonostante l’autorevolezza della Storia sia protagonista e osservatrice della vicenda, la messinscena, in cui si trovano svariati esempi di cittadini dell’epoca, è molto coinvolgente, e riesce a non appesantire pur senza banalizzare.

La regia, molto originale, è curata da Riccardo Mini. Il cast formato da Mario Ficarazzo, Lorena Nocera, Giovanni di Piano e Francesco Oliva ha fornito un’eccellente interpretazione, ricca di sentimento e di professionalità. La scena è un grande foglio bianco, il foglio della Storia su cui rimangono incisi nomi di uomini, e si imprimono le tracce degli stivali dei soldati e dei cittadini comuni, tracce che si accumulano, si travalicano, si ricoprono l’un l’altra rischiando di mischiarsi e di essere cancellate. Ma qualche volta basta una rispolverata; i grandi insegnamenti della Storia àncorano il passato all’attualità.

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