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Dare / Spellbound Contemporary Ballet

fotoRegia e coreografia di Mauro Astolfi

Danzatori: Sofia Barbiero, Maria Cossu, Alessandra Chirulli, Claudia Mezzolla, Cosmo Sancillo, Fabio Cavallo, Mario Laterza, Giovanni La Rocca, Gaia Mattioli, Giuliana Mele

Assistente alle coreografie: Adriana De Santis

Musiche: Daniel Hope, Italian Baroque Asias, Chopin

Musiche originali: Luca Salvadori

Disegno Luci: Marco Policastro

Comunicazione: Antonio Pirillo

Management: Valentina Marini

Produzione Spellbound con il contributo di

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

in collaborazione con Auditorium Conciliazione

Rassegna Tersicore e Teatro Sociale di Como

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Dare” ha reso la quotidianità ‘ordinaria’ in una dimanica ‘straordinaria’, riuscendo a modulare le emozioni con un ritmo pulsante e vibrante il quale rimanda alla creazione e alla nascita nella sua accezione più pura e candida in una raffinata e potente alchimia.

L’inizio dello spettacolo è disarmante perché non trovi subito la chiave di volta del lavoro coreografico che si rivela, passo dopo passo, in uno sguardo tra palcoscenico e platea, una combinazione di espressività e di improvvisazione in cui viene coinvolto sistematicamente tutto il corpo, non solo gli arti, un esempio di come la danza può soddisfare non solo l’aspetto visivo e percettivo, ma scavare dentro l’anima, elargendo pensieri e immaginazione.

Dare” è una performance che ripercorre i legami che la danza intrattiene con l’universo umano. Attraverso esercizi di eccellente contemporaneità e composizione del “movimento” si affronta la dimensione dello spazio non tanto come apprendimento di particolari abilità tecniche, ma piuttosto come assunzione di una capacità visiva attenta, che permette di scovare l’essenza della creazione, della nascita e della morte celata in sé, nelle cose, negli oggetti e nelle persone.

Durante l’esibizione i danzatori hanno percorso la propria qualità e personalità artistica con vitalità e carisma in un seducente gioco di “frammenti e attimi” di poesia, passando dall’amore, alla forza, alla passione, alla tenerezza, alla rabbia, alla dolcezza e alla paura in un’originale e riflessiva messa in scena sul meccanismo che genera l’arte del concepimento, tentando di stabilire dei legami tra chi rappresenta, chi ha rappresentato e chi assiste, tra chi si espone e chi guarda, tra chi attende e chi opera: il pathos e l’identificazione in un’attualizzazione critica e complementare tra il chiaro e lo scuro antitesi del bene e del male.

Il confronto sui grandi “temi” della vita evidenziano numerose e significative differenze, ma anche la persistenza di un’idea ben articolata: quella del “riflesso”, del contraltare, dello specchio, un doppio che nello scorrere incessante dei giorni può trasformarsi in ombra per poi riaffermarsi luce. Una sorta di conflitto che per essere risolto o in parte guarito necessita della dimensione di uno “spazio”, il quale si rivela uno dei tanti mezzi usati dall’essere umano per abbattere i limiti dell’uomo.

In tutto questo il geniale coreografo Mauro Astolfi, creando il balletto, semina nell’inconscio rarefatti “segnali”, fornendo la nascita di un concetto che scioglie i limiti e generando qualcosa di più grande: un finale in cui la riconciliazione con sé stessi permette l’evaporazione del doppio, il quale svanendo libera dunque l’animo umano da quel limite che il doppio impone. Un’autentica tecnica di ascolto del proprio corpo e della dimensione temporale, di interazione con altre menti, grazie alla quale le idee possono essere traslate dalla scena al corpo e lì elaborate con passione e “verità”. Mediante la performance si sondano le altrui qualità di movimento, e si ricerca uno specifico linguaggio dove le differenze sono considerate una risorsa da assecondare proprio per far sì che una dinamica peculiare possa fuoriuscire da ogni singolo pensiero.

Lo spettacolo nella sua completezza evoca spiazzamento e potenza grazie anche alla luce che “veste” interamente la scena, alle suggestive musiche che avvolgono lo spettatore e alle trovate sceniche dove la pianta, gli scatoloni e le tendine diventano il terzo occhio che si pongono come radice e riflettore della coscienza prima di compiere un nuovo profondo respiro verso la “rinascita”.

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