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“La fila (Line)” di Israel Horovitz, tradotto da Susanna Corradi

fotoUna produzione di Fondazione Teatro Due, a cura di Walter Le Moli, che vede in scena cinque degli attori dell’Ensemble Stabile.

Come in tutte le cose nella vita oltre al lato scuro con gradazioni che vanno dal grigio al nero ci sono improvvisi sprazzi di sole. Anche dagli eventi più drammatici nascono delle opportunità, dalle epidemie guadagnano i becchini, ….dal letame nascono i fiori. Leggo che l’autore della commedia “La fila” che fra poco vedremo mette alla berlina le nevrosi, le meschinità, le angherie, la volontà di sopraffazione dei componenti la fila per contendersi il primo posto. In realtà anche la sindrome da fila può far girare la giostra impazzita in una piacevole opportunità. Soltanto qualche mese fa un giovane intraprendente, speculando sulla filofobia, ha aperto un sito in cui si offriva di fare la fila per conto terzi. Che quello del codista potesse diventare un mestiere codificato e riscuotere tanto successo non se lo aspettava neppure lui, l’ideatore di questa trovata che ha aperto un workshop per aspiranti codisti con già 300 iscritti. Ma mettiamoci in fila per entrare in teatro.

Perché “Line” di Israel Horovitz è la commedia “residente” più longeva di NY in scena nello stesso teatro da quarantadue anni? Perché riesce a farci ridere sulle debolezze, sulle nevrosi, le meschinità della società contemporanea quasi che noi non ne facessimo parte. Solo in un secondo tempo ci accorgiamo di aver abboccato alla lenza lanciata dall’autore obbligandoci ad inghiottire anche contro voglia quel boccone molto amaro e caustico della nostra irrilevanza morale, della compulsiva volontà prevaricatrice, dell’innato (e quindi giustificato) spirito competitivo che si manifesta, purtroppo anche nelle occasioni più banali come nello sgomitare per il primo posto di una fila qualsiasi dove tutto è consentito. Ecco quello che Horovitz ci sbatte in faccia con ironia e caustica indulgenza e ci fa ridere come se quel che succede in scena non ci appartenesse. In realtà questa pièce feroce e divertente ha un effetto introspettivo, ci fa riflettere su tutte le volte che siamo stati soggetti alla pulsione irrazionale di primazia.

La scena si presenta come una scatola vuota di uniforme color nero, solo una striscia di plastica bianca sul proscenio delimita la surreale competizione. I cinque personaggi (Fulvio Pepe, Paola De Crescenzo, Sergio Filippa, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi) entrano in scena uno ad uno e cominciano a contendersi il primo posto per un evento non meglio identificato. C’è l’esaltato, il narcisista, il sempliciotto, la donna perfida e puttana che si fa sbattere a turno dai tre competitors e c’è infine suo marito, uomo insignificante e un po’ vigliacco. Ognuno fa ricorso a tutti i mezzi e i più subdoli espedienti per prevaricare gli altri contendenti e lo fa con la cattiveria come se stesse combattendo l’ultima battaglia della vita.

Gli attori interpretano i rispettivi personaggi con impegno e bravura e il regista Walter Le Moli è molto abile nel controllare il ritmo e i movimenti scenici degli attori.

Meritati i calorosi applausi.

N.B. La pièce viene inquadrata nella categoria del Teatro dell’Assurdo dove, come nel nostro caso, l’autore si diverte a scrivere con humor e intelligenza avvenimenti di banale quotidianità che poi la critica promuove a capolavori (come ho fatto io finora adeguandomi senza convinzione all’onda colta prevalente). Prendiamo dunque la commedia come un divertissement e non necessariamente come metafora della vita.

 

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