Uno spettacolo su Fabrizio De Andrè? “Da andarci subito” pensai, appena vidi la locandina. Poco dopo una punta di scetticismo fece capolino nella bolla di entusiasmo, spinta da un pensiero semplicissimo: portare De Andrè sul palco dev’essere un’impresa piuttosto complicata: il rischio, quando si vuol parlare di grandi artisti, è sempre quello di banalizzare. Sono rimasta piacevolmente stupita: attraverso una narrazione ricca di riferimenti e spunti di riflessione, e grazie ad una scelta puntuale e mai scontata delle canzoni, Scanzi è riuscito a restituirci un’immagine lucida e pulita di un personaggio quasi universalmente amato ma anche spesso criticato, stimato e sbruffoneggiato, adorato e idolatrato, talvolta fino all’iconoclastia.
La scelta di presentare la produzione musicale ed il pecorso dell’artista affiancando all’ordine cronologico lo sviluppo dei motivi tematici dei concept album è un’ottima idea: permette di creare un quadro completo e ordinato del percorso artistico in toto e allo stesso tempo di studiare da vicino un solo album o una singola canzone. Così, si passa dal lugubre e ridente primo cd in cui si gioca con la morte alla religiosità più umana e più terrena che conosciamo, quella de “La buona novella”, dal criticato e poi riscoperto “Storia di un impiegato”, alle tenebre celesti e alle vene più satiriche di “Nuvole barocche”, dalle storie di personaggi che ormai dormono, in eterno, sulla collina, alla rinascita dei dialetti e delle piccole tradizioni, dalle storie delle città alle fiamme dell’Inferno, fino alle anime che si salvano. La finezza artistica di De Andrè fu quella di racchiudere un universo, e forse non uno solo, nella storia di ogni personaggio da lui narrato. Quel che traspare di lui è l’immagine di un uomo con l’anarchia in testa e Cristo nel cuore, e con un ciuffo sull’occhio sinistro; forse deluso dagli esseri umani, è prima di tutto devoto all’umanità. Quando si tratta di artisti di questa portata è forse meno rischioso raccontare che interpretare; se lo svolgersi dello spettacolo rispetta con modestia i limiti di una narrazione, l’arrangiamento in stile moderno dei testi musicali è una scelta molto azzardata, da un’impronta recitativa che rischia di intaccare l’armonia e il senso delle canzoni originali; ma è buona l’idea di riproporre De Andrè in chiave moderna per arrivare anche ai più giovani; l’apprezzamento o la delusione per questa scelta dipendono dai gusti personali del pubblico. È uno spettacolo consigliato ai più profondi amanti e conoscitori del cantautore, che potranno ripercorrerne la vita artistica accompagnandolo sulla strada in continua evoluzione e continua conservazione tra collaborazioni, critiche, dubbi e sperimentazioni, entrando nel clima di ogni decennio che questo percorso attraversa; ma è un “racconto” adatto anche a chi non conosce bene De Andrè, ma ne è incuriosito e vuole saperne qualcosa in più.