
Questo testo scritto da Luigi Squarzina nel 1949 e mai portato in scena per divieto della censura, è inserito nel progetto “Roma. Il presente del Passato”, con una serie di spettacoli e attività incentrati intorno alla città, dopo il debutto italiano nel giugno di quest’anno al Teatro India con l’allestimento di Piero Maccarinelli.
È prodotto dal Teatro di Roma con un cast di attori dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico e del Centro Sperimentale di Cinematografia iscritti ai Corsi di perfezionamento per attori del Teatro di Roma, che affiancano due valenti artisti, Luigi Diberti e Stefano Santospago.
L’opera, che ha ottenuto nel 1949 il Premio Gramsci da una giuria composta da Eduardo De Filippo, Luchino Visconti, Paolo Stoppa, Orazio Costa, Stefano Landi e Vito Pandolfi, ha avuto un’unica rappresentazione in Polonia nel 1955, in Italia solo tre letture, con Gassman nel 1950, Albertazzi nel ‘51 e nel ’94 con la regia di Maccarinelli.
Squarzina, regista attento alle tematiche sociali e significativo protagonista del teatro e della cultura del nostro paese, ambienta la vicenda nel 1946 tra le costruzioni incompiute dell’E42 che avrebbero dovuto ospitare l’Esposizione Universale mai effettuata a causa degli eventi bellici, con un’opera di drammaturgia civile e poetica insieme, una disamina attenta e lucida del momento storico italiano, di impianto corale e introspezione psicologica nel delineare le speranze e i sogni di derelitti che la guerra ha relegato al rango di sfollati anche dopo la fine del conflitto, inserendosi nel filone neorealista dei maestri del cinema di quegli anni.
Alle difficoltà quotidiane di un gruppo di persone di varia estrazione, provenienza e ideologia politica si sovrappongono le speculazioni edilizie di affaristi senza scrupoli che fiutano l’opportunità di una nuova urbanizzazione dell’area in vista del Giubileo del 1950.
Le tematiche sociali e storiche legate alla ricostruzione nel primo dopoguerra che sfocerà nel boom economico degli anni ’60, serpeggiano nel microcosmo insediatosi tra i cantieri chiusi del monumentale progetto mussoliniano della nuova Roma imperiale, le cui immagini d’epoca dell’Istituto Luce sono proiettate sul fondo, mentre gli stenti quotidiani inducono ai compromessi e l’arroganza del potere fomenta le rivolte sociali.
L’allestimento di Maccarinelli disegna un affresco di notevole forza espressiva con un ritmo sostenuto, nonostante la durata. La grande scena è occupata da praticabili su cui sono disseminate brande con pagliericci e poche suppellettili, scarno arredamento di una coabitazione promiscua ma dignitosa: una donna con due figlie di cui una ammalata di tisi e l’altra coinvolta ina una relazione clandestina con un ambiguo brigadiere, un aspirante fotografo, il professore Curbastro dai trascorsi fascisti cui i partigiani hanno ucciso un figlio interpretato con passione da Luigi Diberti, un ragazzo che non si stacca dalla sua bicicletta, un operaio con la moglie incinta. Scuote quest’equilibrio l’arrivo tumultuoso di un giovane fuggito all’arresto durante una sommossa al Viminale, che convoglierà su di sé le simpatie di tutti.
La solidarietà sviluppatasi in seno alla comunità nonostante le gelosie e le rivalità, sarà spezzata da Barzilai, pseudo giornalista d’inchiesta, impersonato con totale aderenza e adeguato physique du rôle da Stefano Santospago, giunto con l’intenzione losca di effettuare un sopralluogo per far sgombrare l’area, trasferendo i baraccati al Campo Parioli, che resterà attivo fino ai lavori per le Olimpiadi del 1960.
La corruzione e il ricatto minano la coesione che pur si era instaurata in un contesto di degrado sociale, fino al tragico epilogo frutto del tradimento di chi avrebbe dovuto proteggere quelle fragili vite.
L’epopea di una nazione raffigurata attraverso stralci di misere esistenze di cui, tra passioni, tradimenti, disillusioni, tutti danno un’eccellente testimonianza, rappresentando una condizione umana ancora drammaticamente contemporanea e, quindi, universale.
Nel foyer del Teatro è allestita la mostra dell’Archivio Squarzina conservato presso la Fondazione Gramsci.