Attraverso la vita e le opere di Caravaggio, Vittorio Sgarbi ci condurrà in un viaggio fatto di teatro, pittura e storia.
Uno spettacolo in cui ci racconta la contemporaneità di questo illustre personaggio.
Un’attualità non compresa nella sua epoca, ma apprezzata e incarnata in un periodo storico come il ‘900 in cui la necessità di avvicinarsi al vero appare vitale, apprezzare quella realtà talvolta sporca, imperfetta e cruda.
Immortalare sentimenti come paura e sgomento, un’ inequivocabile anticipazione della fotografia.
Una pièce arricchita dalle sapienti musiche di Valentino Corvi un palco essenziale a lasciar spazio alla voce dell’eclettico professore che continua in questo percorso attraverso la proiezione di un susseguirsi di dipinti. Una rappresentazione lunga, durata un’ora in più da quella indicata sulla locandina; forse perché quando è di vita che si parla, il tempo sembra fuggire. Un Vittorio Sgarbi innamorato quello di questa sera, di un’arte immortale e della sua capacità di vivere oltre la morte.
Una bellezza concepita grazie al coraggio della diversità e di rompere gli schemi, una sensibilità che non teme di Essere. Amare ciò che è in difetto è possibile con Caravaggio e lo è perché persiste una tensione verso il reale, una necessità disperata quella del pittore di esprimere la verità, sempre, nonostante una vita inquieta e nascosta, ed è questa la straordinarietà di questo uomo, non temere l’inevitabile, non avere paura.
Vittorio Sgarbi nella narrazione di questo spettacolo fa un interessante parallelismo con Pierpaolo Pasolini, soffermandosi su analogie e somiglianze tra i due uomini, quasi a voler rimarcare l’eternità del rapporto tra individuo e arte.
Regia e luci di Angelo Generali.