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“Amleto” di William Shakespeare

fotoAmleto è stato generalmente considerato come la tragedia delle tragedie shakespeariane, quella in cui il poeta ha messo più di sé stesso, ha dato la sua filosofia, e ha riposto la chiave delle altre tutte. Ma, a parlar con rigore, nell’Amleto lo Shakespeare ha messo sé stesso né più né meno che nelle altre tutte, cioè la poesia. (Benedetto Croce)

Questo progetto teatrale rivisita l’Amleto mantenendone il nucleo originario. I costumi di scena sono quelli del mondo moderno. Lo spettacolo invade la platea col suo pathos attraverso la fisicità degli attori. Lo spettatore diventa comparsa di un mondo che si fa teatro e di un teatro che si fa mondo. C’è una compenetrazione sottile tra rappresentazione e realtà.

È un progetto che nasce con Daniele Pecci. Quando Daniele mi ha chiesto se volevo curare la regia di un ‘Amleto’ con lui protagonista, è stato come ritrovarsi un ombrello sotto la pioggia. Era quello che attendevo. Ed è quello che abbiamo fatto. Daniele, io, i miei soci degli Uffici Teatrali, e la Compagnia Stabile del Molise: mettere un ombrello sotto le infinite letture di un testo infinito. Un ombrello che copre una parte di mondo, il palcoscenico della rappresentazione, spoglio di letture forzate, unicamente teso al gioco di analizzare perché, all’alba del ‘600, nacque un uomo che vide il mondo uscire dai suoi binari. (Filippo Gili)

Essere o non essere declama Amleto e questo lacerante dubbio risuona ancora vivo e profondo nella coscienza dei contemporanei. Essere o non essere interroga la realtà attraverso il teatro. Questo è il problema pulsante del teatro in ogni tempo. Ogni personaggio di questo capolavoro Shakespeariano, rispettosamente reso dagli attori di questa compagnia, vive la sua sorte nell’eco di un dilemma irrisolvibile, manicheo, contraddittorio.

Se si fa Amleto, oggi, è perché è infinita la malizia di Polonio, è perché è infinito il torpore morale di Gertrude, è perché è infinita la dannata verginità di Ofelia, è perché è infinita l’intuizione politica di Claudio: un impero, da Don Chisciotte, passando per il potere dell’atomo fino ai microchip odierni e per chissà quanto ancora, si può mettere a soqquadro solo con l’ausilio di una goccia di veleno. Con Amleto si porta sulle spalle un peso che lo porta ai giorni nostri: quello di un vivere nel mondo, senza esserci. (Filippo Gili)

Infiniti significati si impongono prepotentemente da questa tragedia e ognuno di essi, ancora oggi, parla a quella parte occultata e sommessa del mondo contemporaneo che lo spettatore, come abitatore coatto della scena e del mondo, cerca di rimuovere, magari di allontanare nel taciuto di un’Ofelia suicida, nell’ambiguità morale di un’incosciente Gertrude, nella follia di una vendetta dal triste epilogo, ma che avrà nel superstite Orazio la sua memoria e nella capacità di farsi racconto il suo futuro.

La nostra messinscena invade la sala non per blasfemia pirandelliana, ma perché intende tutto l’edificio teatrale come paradigma di Elsinore, come articolazione e ‘stacco’ di stadi scenici che si sviluppano tra platea, scaletta, proscenio, sipario e palcoscenico. Che sarà nudo perché realistica sia la percezione dell’autenticità ambientale. Con Polonio, protomartire della segretezza, della manipolazione invisibile, di quel nuovo mondo che Orwell suggellerà qualche secolo dopo, a gestire il sipario, ad aprire e chiudere quell’infinito ‘arazzo’ dietro cui non si nasconde e muore il consigliere del re, ma dove si nasconde e muore la coscienza di un pubblico troppo interessato a starsene al buio, per schivare comodamente i colpi di pugnale di principi e uomini che vorrebbero, solo vorrebbero, riassettare il mondo. (Filippo Gili)

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di William Shakespeare

Daniele Pecci Uffici Teatrali

con Daniele Pecci, Massimiliano Benvenuto, Silvia Benvenuto, Ermanno De Biagi, Pierpaolo De Mejo, Vincenzo De Michele, Pietro Faiella, Vito Favata, Filippo Gili, Arcangelo Iannace, Liliana Massari, Daniele Pecci, Omar Mandrini

adattamento e regia Filippo Gili

scene Francesco Ghisu

costumi Daria Calvelli

disegno luci Giuseppe Filipponio

produzione Compagnia Stabile del Molise

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