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“Ferite a morte” di Serena Dandini

Foto di Mauro Ricchetti
Foto di Mauro Ricchetti

Il pubblico del teatro Bellini di Napoli si è commosso, ha applaudito e forse si è soffermato a riflettere un po’ di più su quella che è ormai considerata un’emergenza culturale: il femminicidio. L’occasione è lo spettacolo “Ferite a morte” (un po’ di Napoli nel titolo, ricorda infatti il capolavoro di La Capria “Ferito a morte”) che racconta un aldilà al femminile. Un paradiso di donne maltrattate, umiliate e uccise dai propri compagni di vita, mariti, amanti, fidanzati, oppure “ex”. “Ferite a morte” è una raccolta di storie, ispirate all’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, che fa della cronaca e delle indagini giornalistiche la propria matrice narrativa.

Storie di donne che Serena Dandini, con la collaborazione di Maura Misiti, ricercatrice del CNR, ha raccolto e messo in scena. Prima in forma di reading, affidati ad attrici e a donne illustri della società civile, e poi come un vero e proprio spettacolo, rappresentato sui palchi italiani e all’estero, a New York, Washington, Ginevra, Bruxelles, Londra, Parigi, Lisbona, Tblisi, Città del Messico, Tunisi e Istanbul. Tre donne in scena, un affiatato terzetto di attrici formato dalle bravissime Lella Costa, Orsetta de’ Rossi e Rita Pelusio che si alternano sul palco per dare voce a tantissime donne morte e giunte in un paradiso nero dove non contano né la religione, né la nazionalità, né tanto meno l’età. Si è accomunate da un unico destino: essere state uccise dal proprio uomo.

E quel “avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo mai accorti” del monologo di apertura dice già tutto di quanto la violenza sia consumata ogni giorno tra le mura domestiche e sia l’unica arma che uomini “malati” usano per sentirsi superiori alle proprie compagne. C’è la donna in carriera che ha “superato” economicamente il compagno e riceve in cambio veleno, critiche e colpi all’autostima, violenza verbale e poi fisica. C’è la sposa cadavere che sognava “Luigi di Varese” ma è stata sgozzata dal padre e dal fratello, poi sepolta sotto un melograno. E ci sono anche le vittime collaterali, testimoni scomodi della follia altrui. E ancora donne a cui è stata dedicata un’edicola votiva in ricordo mentre l’ex fidanzato assassino è ancora in circolazione, o donne sepolte in fondo ad un pozzo in attesa di essere trovate dalla scientifica. Tanti dialetti, tante parlate anche straniere, si alternano in scena, a ricordare che la violenza non conosce confini. Su due schermi scorrono immagini evocative mentre la musica accompagna i momenti più drammatici. Pochi oggetti ma significativi, un paio di scarpe con il tacco, una camicia da notte con brillantini, ricordo della luna di miele e del primo ceffone.

Uno spettacolo dai toni grotteschi, leggeri ed ironici pur parlando di violenza e di fatti di cronaca che colpiscono come un pugno allo stomaco. In un continuo contrasto tra i racconti drammatici ed un linguaggio leggero le attrici in scena ci raccontano pagine di cronaca troppo spesso dimenticate. Spettacolo bello quanto necessario.

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Con

Lella Costa

Orsetta de’ Rossi Rita Pelusio

Messinscena a cura di Serena Dandini

Aiuto regia Francesco Brandi

 

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