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Lungs, un dialogo amoroso mozzafiato

fotodrammaturgia di Duncan Macmillan

traduzione Matteo Colombo

regia di Massimiliano Farau

con Sara Putigano e Davide Gagliardini

produzione Teatro Due

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Il confronto con la nuova e giovanissima drammaturgia europea, in questo caso britannica, è sempre un momento prezioso, basti solo pensare a quanto la modalità di scrittura teatrale possa essere un intrinseco paradigma dei nostri giorni e della nostra maniera di percepire la realtà che ci circonda.

In questo, il testo Lungs, un dialogo amoroso mozzafiato scritto nel 2011 dal giovanissimo autore Duncan Macmillan che ha raccolto un grande successo di pubblico e di critica fra Londra e Stati Uniti, è estremamente esemplificativo.

Un unico e funambolico dialogo racconta dell’intera esistenza di una coppia di trentenni interpretati dai brillanti e virtuosi Sara Putigano e Davide Gagliardini e diretti da Massimiliano Farau; soli, in una scena assolutamente vuota, priva di qualsiasi elemento, agiscono e quindi “vivono” nel semplice perimetro dell’assito segnato dalla moquette di colore blu e che riflette la semplice e ricca illuminazione degli otto fari dall’alto. L’assoluta essenzialità amplifica la fluttuante dinamicità nello spazio e nel tempo che scandiscono le tappe più significative della storia. Spiazzante e ironico è l’incipit ex abrupto dello spettacolo; lui le chiede (mentre sono in coda ad una cassa dell’Ikea) di avere un bambino, proposta e desiderio dal quale s’innesca tutta la drammaturgia dell’opera, la cui struttura si traduce immediatamente nell’iter esistenziale dei due personaggi alle prese con il più importante passaggio, quello di essere pienamente adulti e quindi di essere responsabili di se stessi come di una nuova vita. Tuttavia il terrore di fare questo passo porta ad una serie di elucubrazioni mentali che sembrano staccare la volontà di procreazione da una sfera introspettiva ed intima per confluire in una riflessione civile e globale: mettere a mondo un altro essere significherebbe contribuire all’impatto che noi umani abbiamo negativamente sull’ecosistema. Ma allora quale scelta sarebbe più “responsabile” laddove s’incrementerebbe uno stile di vita – quello occidentale – che produrrebbe solo migliaia di ulteriori tonnellate di CO2 ? (praticamente il peso della Torre Eiffel. “Io darò alla luce una Torre Eiffel” esclama lei). Sarà poi sufficiente piantare boschi e andare in bicicletta per compensarne il danno? Ed inoltre, se poi il procreare, a differenza dei più che lo vivono come processo necessario e spesso spontaneo, dovrebbe aver semmai luogo in circostanze “perfette” – che non arriveranno mai – come si concilia con questa consapevolezza verso tutto quanto il mondo?

Cinico e quasi surreale, il richiamo alla responsabilità ecologica innesta però un livello più intimo di confronto che scandaglia invece le difficoltà ed incomprensioni di una coppia dei nostri tempi alle prese con il senso patologico di ansia, di precarietà, di inadeguatezza genitoriale e di fragilità interiore che, a ben guardare, ritardano e procrastinano le nostre scelte e azioni che ci rendono pienamente adulti.

Il ritmo vivace e serrato è sempre tenuto costante dagli interpreti, “mozzafiato” è appunto questo loro dialogo il cui flusso continuo è in realtà la vita stessa che con il gioco della parola teatrale l’attraversano intera ed intensa, nei suoi balzi temporali, e si traduce come unico e irripetibile respiro (Lungs in inglese significa difatti “polmoni”). D’altro canto in tutta la prima parte affiora una scrittura franta, piena di elusioni, ripetizioni, false partenze, veri e propri cortocircuiti psicologici in cui labile è il confine fra struttura dialogica e parentesi monologiche; del resto, il teatro insegna che solo l’azione che determina crisi e risoluzione consente la svolta della narrazione e quindi l’evoluzione del singolo personaggio. Macmillan a suo modo fa tesoro di tale assioma, e alla crisi che, prescindendo dalla volontà e dai ragionamenti, porta in frantumi tutto ciò che prima si è cercato di costruire, segue l’evento inaspettato, quello nel quale le emozioni hanno avuto il sopravvento sui tanti “parliamone”, il punto dal quale si riparte da adulti e dal quale si giunge, come se l’esistenza fosse finalmente un rettilineo sul quale si scivola velocemente, agli stadi ultimi della vita. Il fatto è che molto spesso i desideri e i progetti prendono vita in luoghi e momenti inaspettati, preferibilmente in quelli più lontani possibile dalle condizioni che i nostri ragionamenti pretendono di stabilire come perfetti o preferibili.

Uno spettacolo ed un testo “semplice, ma complesso”, come questa ipotesi di vita che il procedere freneticamente a singhiozzi ce la rende nella sua struggente completezza. Semplice è anche la necessità dell’incontro fra individualità diverse, così connaturata al senso della pratica teatrale, e nella quale ogni spettatore può trarre uno spunto diverso sulla paura del divenire, e soprattutto del divenire amando, nel senso più ampio del termine.

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