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“Il prezzo” di Arthur Miller

Foto di Marco Caselli Nirmal
Foto di Marco Caselli Nirmal

Sullo sfondo della grande depressione dell’America che segue il crollo del ’29 si muovono, vivono e soffrono i personaggi di questa pièce. È la storia che vede protagonisti due fratelli che dopo tanti anni si incontrano e si scontrano in un flusso inarrestabile di rimpianti e rivendicazioni che affiora come un fiume carsico di sentimenti repressi, frustrazioni, nevrosi, egoismi, sopraffazioni morali patite, invidie accumulate, rancori incoffessati. E in questo scenario si muove una moglie dispotica e consumista, un vecchio furbo rigattiere e un “convitato di pietra” nella figura del defunto padre dei due fratelli.. Ma cerchiamo di rendere comprensibile questa sinossi partendo dall’inizio della storia.

Due fratelli (Victor poliziotto e Walter stimato chirurgo) che non si vedevano da molti anni si incontrano in occasione della vendita di vecchi mobili accatastati, dopo la morte del padre, nella vecchia casa avita che sta per essere abbattuta. Per la vendita viene chiamato un vecchio rigattiere Solomon che da un primo esame finge assoluto disinteresse. Per lui quell’ammasso di vecchi mobili (non antichi) ha un valore a peso, invece per Victor grava il peso dei ricordi. L’avida e dispotica moglie Ester convince il riluttante marito ad accettare la misera offerta dell’istrionico “robivecchi” ma, all’atto del formale accordo sul “prezzo” entra in scena il fratello Walter (al quale spetterebbe la metà della vendita) che con aria di sufficienza tratta il fratello come un minus habens e, con l’appoggio della sempre avida cognata, accusa il rigattiere di aver speculato sull’incapacità di Victor. A questo punto occorre aprire una parentesi per raccontare in breve la storia pregressa della famiglia. Il padre benestante, dopo essere stato travolto dalla crisi del ’29, vive in povertà con i due figli. Victor brillante studente abbandona di necessità gli studi e si arruola nella polizia per mantenere il padre e consentire al venale fratello la prosecuzione degli studi universitari che lo porteranno a diventare un chirurgo di successo. Chiusa la parentesi ritorniamo sul luogo della tenzone per arrivare al colpo di scena. La discussione fra i due diventa aspra, i toni si fanno violenti e in quel flusso inarrestabile vengono fuori verità nascoste che generano sconcerto incredibilità, stordimento, amarezza. Walter accusa il fratello di essere uno stupido ingenuo e di aver sacrificato la propria esistenza ad accudire il padre che l’aveva ridotto in servitù e umiliato malgrado avesse da parte una notevole quantità di dollari che aveva dato a lui in gestione. Ecco scoperto il mistero di come Walter avesse potuto per anni sopravvivere dignitosamente, studiare e laurearsi. Così termina il gioco al massacro in cui il cinico egoismo del chirurgo si impone all’integrità morale del poliziotto. Il prezzo, titolo della commedia, ha una doppia valenza. Il prezzo (morale) che Victor ha pagato per non aver colto l’aridità morale del padre e quello (materiale) che il rigattiere ha offerto per la mercanzia in vendita. Ed è proprio il novantenne Solomon con il suo vitalismo, quel suo fare ambiguo che risulta il testimone saggio del vuoto esistenziale di entrambi i fratelli. E parlando del personaggio Salomon non possiamo esimerci dall’applaudire l’interpretazione di altissimo livello di uno scanzonato e scatenato Umberto Orsini. Però (c’è sempre un però), a nostro avviso fa troppo spesso il verso a se stesso, si spende in bellissimi narcisismi, carica troppo il personaggio caratterizzandolo al limite della macchietta. Ma che mostro di bravura! Non c’è invece alcun “però”, nessuna riserva sulla stupenda interpretazione di Massimo Popolizio nelle vesti dimesse di Victor. Ottima la sua regia attenta e rigorosa anche se ha forse lasciato la briglia un po’ troppo sciolta (come abbiamo detto) a Umberto.

Last but not least Elia Schilton che con consumata abilità entra nel difficile personaggio negativo (quindi antipatico) di Walter così come Alvia Reale di cui abbiamo apprezzato l’interpretazione dell’autoritaria, avida moglie (che si riabilita con catarsi finale).

Belle e funzionali le scene curate da Maurizio Balò, i costumi di Gianluca Sbicca e il disegno luci di Pasquale Mari.

Grandi meritatissimi applausi.

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