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Some girl(s)

fotoUno scrittore quarantenne alla vigilia del matrimonio dà appuntamento alla fidanzatina del liceo in una camera d’albergo di uno Stato americano. Vorrebbe scusarsi per averla lasciata all’improvviso, senza una spiegazione, nel tentativo di rimettere a posto i tasselli scompaginati della sua vita. Sam sembra disinteressata a questa riparazione tardiva ma, man mano che il colloquio frammentato va avanti, riaffiora la rabbia e la sua ferita non sembra ancora rimarginata.

Uscita di scena, entrano due cameriere che spostano i mobili mentre sul fondale che si illumina di un colore diverso dal precedente appare il nome di un altro Stato. Entrano Guy e Tyler, appariscente e sensuale. L’uomo tenta di intavolare lo stesso discorso, la ragazza lo incalza e lo provoca, suadente e disinibita, come fosse il suo alter ego.

Altra disposizione dell’arredamento, altro colore, altro Stato. Adesso l’interlocutrice è Lindsay, animata da un’acredine non sopita, accompagnata in quell’albergo dal marito che l’attende in macchina, per consumare la sua vendetta: sedurre Guy e abbandonarlo al suo destino. Le nevrosi hanno però il sopravvento e anche stavolta l’incontro risulta inconcludente, con il malcapitato lasciato in mutande e bendato sul letto.

Cambia la camera, cambia il colore e lo Stato. Mentre il giovane si infila una t-shirt entra Bobbi, la fidanzata più recente che aveva dovuto subire anche la rivalità con la sorella. Sicura di sé e determinata, inchioda il giovane alle sue responsabilità, lo pone di fronte alle proprie debolezze e idiosincrasie, smaschera i suoi maldestri tentativi di sfruttare questi incontri per ricavare materiale per un romanzo.

La pochezza maschile rappresentata da un giovane uomo incapace di crescere e acquisire consapevolezza e dignità appare in tutta la sua ineluttabile attualità, delineando un quadro malinconico dei rapporti uomo-donna. Questo giovane scrittore ha attraversato l’America in un viaggio a ritroso nelle sue relazioni senza soffermarsi a guardare nel profondo dei cuori. Cosa sarebbe stato capace di dedurre e scrivere? Quello che avrebbe potuto essere un percorso psicanalitico, una discesa agli inferi per riflettersi nei propri fantasmi e riabilitarsi, è stato per lui un inutile chiacchiericcio.

Moderno, sincopato, molto americano il linguaggio di Neil LaBute, autore con una spiccata attitudine a indagare sulle problematiche relazionali della società contemporanea. All’uomo immaturo ed egoista che gioca con i sentimenti, contrappone quattro ritratti femminili, forse un po’ stereotipati ma vividi, con i quali può scattare una immedesimazione.

La regia di Marcello Cotugno scandisce i diversi passaggi in maniera agile, a scenario aperto e con un efficace gioco di luci colorate sulle scene di Luigi Ferrigno. Cotugno è esperto conoscitore di LaBute di cui ha portato in scena i testi e pubblicato la prima edizione italiana.

Gabriele Russo esprime tutta la gamma di spaesamenti e ciniche inconcludenze di Guy. Bravissime le attrici nel delineare a tutto tondo le psicologie delle ex, archetipi della ricchezza emotiva dell’universo femminile: Laura Graziosi è la provinciale Sam, Bianca Nappi la spregiudicata Tyler, Roberta Spagnuolo la nevrotica Lindsay, Martina Galletta la risoluta Bobbi. La colonna sonora attinge ai Rolling Stones, Bee Gees, Karen Dalton, Dm Stith, The Cramps, Cristobal Tapia de Veer, Nils Fraham.

Nell’edizione americana LaBute inserisce il quinto episodio con Reggie (interpretata da Rachele Minnelli), dodicenne all’epoca della frequentazione, non rappresentato in scena, che Cotugno ha realizzato come contenuto speciale, visibile sul web al link www.bit.ly/Part4reggie che aggiunge ulteriori elementi di perplessità sulla capacità di Guy di agire e valutare le conseguenze del proprio comportamento.

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