È iniziata da 3 giorni questa primavera, che cerca in tutti i modi di farci dimenticare le immagini di sangue e devastazione, che ci inseguono ovunque posiamo lo sguardo. Ci provano anche Vacis e Paolini, coppia ormai storica del Teatro Italiano e non solo, con questo progetto che coinvolge una delle zone che stanno forse alla base di questi sconvolgimenti: la Palestina. Il titolo dello spettacolo che propongono è AMLETO A GERUSALEMME mentre il sottotitolo recita “Bambini Palestinesi che vogliono vedere il mare”, e già qui entriamo in un’altra dimensione, che con la guerra e con la faida non ha niente a che vedere.
La conferenza stampa inizia in ritardo anche perché, come ricorda la responsabile Carla Galliano, molti giornalisti sono impegnati a seguire un altro fatto triste: il funerale della ragazza torinese morta in Spagna in quell’incidente con il pullman. Ma poi si parte e ci accomodiamo nella grande sala di attesa di questa struttura che sta diventando sempre più importante per la città di Torino, come ci viene ricordato dal direttore. Infatti in questo stesso momento convivono molte realtà fra cui scuola teatrale, prove e preparazione di due spettacoli, creazione di scenografie, alloggiamento per i ragazzi palestinesi impegnati nelle prove di questo spettacolo da 45 giorni.
Quale altra realtà teatrale italiana può vantare questo? E Vacis ci racconta di questo progetto, nato nel 2008 da quando cioè gli è stato proposto di lavorare alla creazione di una scuola per attori a Gerusalemme est. E di come il teatro sia considerato un lusso, che da un gruppo ideale di 15 allievi sono poi arrivati ad averne 36. E per questo spettacolo ne siano rimasti sostanzialmente 5 senza ragazze, anche se alla scuola ce ne erano di davvero brave. Per le donne è impensabile poter recitare e qui si è inserito Paolini dicendo che anche per un figlio di un ferroviere italiano è la stessa cosa. Ciò che ha colpito Vacis nel rapporto con i giovani attori palestinesi è la forza ed il desiderio che ci mettono, perché in ogni momento vivono sotto assedio e la storia di ognuno di loro è impensabile per chi abita in un mondo che vive da 70 anni in pace. E lo spettacolo Amleto a Gerusalemme non ha niente a che vedere con il testo di Shakespeare se non per i rimandi, i collegamenti fra le vite di ognuno di loro ed i concetti del testo inglese. È partito da interviste fatte ad ognuno a cui veniva chiesto di raccontarsi, ma non in modo vago ma esplorando i temi portanti dell’Amleto.
Paolini esordisce raccontando della sua stanchezza, di come lavorare con Vacis lo costringa ogni volta ad un impegno sempre maggiore, ed al vero motivo per cui in questi anni ha sempre cercato di evitarlo. Si pone come grande vecchio, e all’amico che lo chiama Maestro, rinfaccia ridendo di essere ormai troppo avanti negli anni, di avere chiamato nelle prove Desdemona invece di Ofelia. Si vede che si diverte e che con la complicità di Tarasco, altro nome storico del Teatro Settimo, anche lui coinvolto in questa avventura, e dice di avere capito che questa è la grande possibilità che finalmente ha di comprendere fino in fondo il dramma shakespeariano. Diventa molto serio quando parla dei molti Amleti che vedremo in scena, che hanno sopratutto paura di sbagliare ed è lo stessa paura che devono avere tutti gli attori. Finisce con “Facendo questo lavoro non ho mai pensato a quelli che compravano il biglietto per vedere lo spettacolo, ma a quelli che non lo compravano.” Mentre ci alzavamo, per dirigerci verso un ricco buffet, mi è capitato di pensare che il teatro è soprattutto questo: mezzo di confronto e di conoscenza di chi vive in modo diverso le nostre stesse difficoltà. Spero che questo spettacolo abbia successo, come si auspicava Gabriele Vacis al festival di Tel Aviv, per permettere a chi ha creduto in questa utopistica avventura, di avere visto giusto.
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di Gabriele Vacis e Marco Paolini
regia di Gabriele Vacis
interpretato da Marco Paolini e da un gruppo di giovani attori palestinesi e italiani: Alaa Abu Gharbieh, Ivan Azazian, Mohammad Basha, Giuseppe Fabris, Nidal Jouba, Anwar Odeh, Bahaa Sous, Matteo Volpengo
scenofonia, luminismi, stile di Roberto Tarasco.
Lo spettacolo, che fa parte del Progetto Internazionale del Teatro Stabile di Torino, è realizzato con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale