Il “matematico impertinente” propone una rilettura del “De rerum natura” di Lucrezio estrapolando alcuni temi dell’ampia trattazione che il poeta latino compose sulla natura delle cose. Spiega Odifreddi che il termine “natura” è stato introdotto da Lucrezio nella lingua latina come participio futuro di nascere: “nascitura”.
Scritti in esametri dattilici catalettici (un valzerino in tre quarti) i 7415 versi compongono 6 libri dedicati a Venere, fortemente critici verso le religioni. Il poema cadde nell’oblio, finché nel 1417 l’umanista Poggio Bracciolini ne rinvenne una copia presso un monastero tedesco. Scarse le fonti su Lucrezio, risalenti a S. Girolamo che le riprese da Svetonio, secondo le quali negli intervalli della sua follia scrisse vari libri, poi emendati da Cicerone.
Il De rerum natura, da Odifreddi tradotto nel libro Come stanno le cose, attinge alle idee di Epicuro, che si ispiravano alla teoria atomistica di Leucippo e di Democrito, filosofi presocratici del V sec. a.C. Apprezzato nell’antichità da Cicerone e Orazio, dopo la riscoperta ebbe cultori eccellenti come Machiavelli, Foscolo, Leopardi, Flaubert, Marguerite Yourcenar, Calvino, Bertrand Russell, Federico il Grande.
È un’opera poetica e visionaria che contiene in nuce tutte le teorie scientifiche moderne, applicando un metodo di indagine che anticipa quello galileiano, secondo la quale l’uomo è legato a tutti gli esseri viventi poiché costituiti dagli stessi atomi, ed esprime una visione laica del mondo con una forte concezione antireligiosa. “Il più elevato canto mai intonato da un uomo alla scienza e alla ragione” afferma con travolgente entusiasmo il nostro matematico.
Da alcuni versi Diderot trasse la definizione dell’Illuminismo, cioè si vede ciò che è illuminato dalla luce e, quindi dalla luce della ragione con l’apporto della scienza, sostenendo il pensiero di Epicuro, “colui che tutto oscurò come fa il sole con le stelle”.
Per sostenere la necessità del concetto di atomo, il poeta ricorre all’analogia con l’atomismo linguistico: come dall’alfabeto si compongono infiniti libri con lettere indivisibili ma separate fra loro, così si ottiene una quantità illimitata di forme dagli atomi separati gli uni dagli altri dal vuoto. Se si eliminasse il vuoto l’universo collasserebbe in un buco nero (definizione moderna ma concetto antico!).
Le tre diadi del poema analizzano tre livelli: microscopico, umano, cosmologico, affrontando problemi esistenziali come la morte o l’esistenza di infiniti mondi.
Spaziando dalla matematica alla chimica, dalla fisica nucleare alla meccanica quantistica, dalla biologia alla genetica, dall’evoluzionismo alla meteorologia, con incursioni nel campo delle neuroscienze, della percezione sensoriale e delle illusioni ottiche, è straordinaria la quantità di parallelismi tra le conquiste della scienza e le idee di Lucrezio: nulla si crea e nulla si distrugge, la classificazione degli elementi, la tesi evoluzionistica che la funzione crea l’organo, il movimento delle immagini nei sogni dovuto alla rapida sequenza delle immagini statiche. Leggendo Lucrezio, nel ‘500 i medici capirono la trasmissione del contagio della peste, Botticelli trasse spunti di ispirazione per la Primavera. Ironiche le esternazioni antireligiose: “perché i fulmini di Giove si abbattono anche sui templi e le statue degli dei, distruggendoli?” a cui Odifreddi, in piena sintonia anticlericale, affianca la foto della cupola di S. Pietro colpita da una saetta il giorno dell’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI, l’11 febbraio 2013.
Gli dei, composti da atomi sottili che danno l’immortalità, non si curano del mondo, Venere è l’unico principio divino. La religione è causa dei mali dell’uomo e dell’ignoranza perché offusca la ragione e impedisce di raggiungere la felicità, deve quindi essere inglobata nello studio della natura.