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Lo sbaglio di essere vivo

fotoAl Teatro Prati, tempio dell’umorismo capitolino, il divertimento serale è all’insegna della sana comicità generata dall’intreccio di situazioni paradossali, al limite dell’assurdo, con qualche connotazione, leggera ma non banale, di introspezione esistenziale.

Il riadattamento e la regia di commedie italiane degli anni ’30 operati dal direttore artistico Fabio Gravina connota tutta la stagione, con un pubblico affezionato attratto da commedie frizzanti che rifuggono dal linguaggio becero e omologato rivolto a palati grossolani, in voga di questi tempi.

La comicità stralunata di Gravina, che interpreta sempre il ruolo di colui che si trova a vivere situazioni surreali suo malgrado delle quali sembra non rendersi pienamente conto, connota queste commedie degli equivoci con riflessi grotteschi di teatro dell’assurdo.

Con Lo sbaglio di essere vivo, il commediografo Aldo De Benedetti ritornò alla ribalta nel 1945, dopo il lungo periodo di oscurità cui lo costrinsero le leggi razziali per le sue origini ebraiche. Rappresentata dalla Compagnia Pagnani-Ninchi al Teatro Eliseo di Roma, ebbe un tale successo che Carlo Ludovico Bragaglia ne trasse subito un film con Vittorio De Sica, Isa Miranda, Gino Cervi e Dina Galli, e la colonna sonora di Nino Rota.

Si tratta di una commedia amara, con evidenti riferimenti al Fu Mattia Pascal di Pirandello nelle tematiche esistenziali. Adriano Lari (Mattia Pascal assunse proprio il nome di Adriano nella sua seconda vita) caduto in catalessi forse a causa di una congestione, viene dichiarato morto e pianto dal vicinato. Rinviene prima del funerale ma decide di proseguire nella finzione per riscuotere il premio assicurativo. Dopodiché si trasferisce, con la vedova apparentemente inconsolabile, in un paesino dal nome evocativo di Mortorio al mare, dove pensa di vivere senza preoccupazioni, mentre la moglie stringe amicizia con una giovane piuttosto esuberante.

Caso vuole che un giorno il signor Guglielmi, datore di lavoro di Adriano e antico spasimante di Maria, si trovi a passare da quelle parti, incontri la donna che ritiene ormai libera e riprenda a corteggiarla insistentemente andandola a trovare in casa. In una girandola di inevitabili equivoci farseschi, Adriano si spaccia per suo fratello gemello ma non può esimersi dall’invogliare la “cognata” ad accettare il corteggiamento di Guglielmi. Dilapidati i proventi dell’assicurazione, l’uomo deve cercare lavoro ma si accorge che senza documenti, per la società non esiste. Non potendo tornare a vivere, non può far altro che tornare a morire e rendere ufficialmente libera Maria che potrà ricostruirsi una nuova vita.

Fabio Gravina sfodera una vis comica incontenibile, accompagnata da espressioni facciali attonite e allucinate miste a un eloquio tanto irrefrenabile quanto fantasioso, mentre il contesto si ingarbuglia sempre più. Paola Riolo è la spaesata moglie, sempre più frastornata e dimessa nell’affrontare situazioni imprevedibili che non condivide e le creano disagio, autentica icona del dramma personale che vive con profonda umanità. Matteo Micheli è l’impetuoso corteggiatore dall’accento toscano determinato ad agguantare finalmente la propria felicità. Arianna Ninchi è la festosa e civettuola nuova amica che incita Maria a uscire dal lutto e indossare abiti colorati che le ridiano la gioia di vivere. La giovane Ninchi rappresenta l’ultima generazione della gloriosa famiglia di attori, il cui prozio Carlo è stato il primo interprete di Adriano. Mara Liuzzi e Tito Manganelli interpretano i doppi ruoli l’una della vicina e della cameriera Rosina, l’altro di Mantovani e Pomponi che supporterà Adriano nella sua scelta definitiva. Scene di Francesco De Summa, costumi di Paola Riolo, musiche originali di Mariano Perrella.

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