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“De Revolutionibus” dalle Operette Morali

Foto di Gianmarco Vetrano
Foto di Gianmarco Vetrano

Andare a prendere Leopardi, nell’intimo della sua Recanati, e portarlo, così, senza neanche il vestito della festa, su un palco di Milano non dev’essere una facile impresa; il suo riserbo avrà di certo posto qualche resistenza. Ma una volta salito, dev’essersi trovato a suo completo agio, in questo viaggio a bordo di un carretto siciliano. Un viaggio cronologico da differenti prospettive, per parlare di quelle rivoluzioni epocali nel momento particolare del loro sviluppo, osservate da un piccolo e curioso punto di vista che deve avere coraggio di verità perché “per venire a capo dell’essere umano serve una gran forza, di braccia e di polmoni”.

Due operette per due tipi di rivoluzioni sociali che tra i quattro punti cardine di Civiltà, Ragione, Natura e Teatro rivivono in una scena capace di passare dal piano dell’opera, a quello della realtà, e a quello ancora del metateatro senza invadenza e senza pretese, a leggeri passi di danza, sprofondando con dolcezza nel pensiero leopardiano tra ironia e pessimismo. I diversi piani interagiscono appunto a partire dall’espediente della sistemazione del carretto per la messinscena, oltre che dal gioco della morra cinese “improvvisato” dagli attori per scegliere la parte. Due operette fatte proprie e riproposte in ambientazione insolita che nulla toglie e in nulla distorce il significato del testo, ma lo rende vivace ed accessibile a tutti, perché come dice Leopardi “il genio è colui che sa imitare”: non un’imitazione asettica, ma una ripresa meditata, un’interpretazione creativa che riporta espressione e contenuto verso un’universalità mai impersonale.

Operetta morale, e dunque infelice, il Copernico, in cui si parla di una rivoluzione seppure, appunto, infelice, certamente positiva, quella di un’epoca in cui l’uomo, rischiando di non essere più al centro dell’universo, ha paura di perdersi, poiché di fronte a lui “si rivela una pluralità di mondi” (Zib.), di cui il Sole e Copernico dialogano con naturalezza insieme alla prima e all’ultima ora delle ore del giorno. Per quanto infelice, in questa naturalezza, in questo amor del vero e della ricerca si intravede una giustizia razionale e tranquilla che dà la sensazione di trovarsi, discretamente, al proprio posto. Se infatti l’uomo di Copernico ha ancora la speranza di rimanere padrone di se stesso, così non sarà per il povero galantuomo, al cospetto del mondo, della civiltà che vuole servire e dal cui spregiudicato cinismo verrà divorato; mostrata l’inutilità di tutte le sue virtù, verrà appiattito in una società in cui “tutti gli uomini sono come tante uova e l’essere umano si è intrappolato a vivere nel suo personale Creato artificiale. Passando troppo in fretta, senza pensarci, dalla bottega della Natura alla bottega della Ragione, si è ammalato, l’uomo, della “malattia del rovescio” e pian piano si è abituato al freddo.

La collaborazione di Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo, che lavorano insieme ufficialmente dal 2011 con “Due passi sono”, dopo aver vinto Premio Scenario per Ustica 2011, Premio In Box 2012 e il Premio Internazionale Teresa Pomodoro, si è aggiudicata il primo posto a I Teatri del Sacro 2015 e torna ad offrire alla scena il proprio genio, capace di intrappolare e condensare la miriade di amare riflessioni suggerite dal testo trattato nel magico volo di farfalle che la scena diventa, tra i colori del carretto e i mirabili giochi di sartoria, sotto i passi dei due attori.

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Testi originali di Giacomo Leopardi dalle Operette Morali “Il Copernico” e “Galantuomo e Mondo”
Diretto e interpretato da: Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
Disegno Luci: Roberto Bonaventura
Scene e Costumi: Cinzia Muscolino
Scenotecnica: Pierino Botto
Assistente regia: Veronica Zito
Produzione: Carullo-Minasi e Federgat

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