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“Lampedusa Snow” di Lina Prosa

fotoProduzione Teatro Biondo Stabile di Palermo

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Ci sono spettacoli brevi e intensi, che esondano pathos e commozione, ci sono spettacoli che ci riportano all’origine della vita attraverso il dramma della morte, ci sono spettacoli carichi di istanti illuminati dalla speranza, dall’angoscia, dall’impotenza e dalla rabbia contro l’ineguaglianza del mondo che obbliga i poveri a cercare la vita e trovano la morte, ci sono spettacoli che trasformano la disperazione in sublime poesia. Stiamo parlando del secondo atto (“Lampedusa Snow”) della “Trilogia del naufragio”.

Sono tre testi di Lina Prosa scrittrice e drammaturga siciliana che, nemo profeta in patria, è da noi conosciuta solo dagli addetti ai lavori mentre è molto apprezzata in Francia dove la Trilogia è già stata messa in scena alla Comèdie Francaise.

Lampedusa Snow” racconta la tragedia di un migrante nella nostra realtà quotidiana. Un bellissimo monologo sull’emigrazione clandestina. La storia di Mohamed giovane ingegnere che anche lui, illuso di trovare uno straccio di vita, si imbarca su una carretta del mare e dopo la violenza fisica e psichica del naufragio viene accolto in un centro di accoglienza a Lampedusa per poi essere trasferito assieme ad altri cento migranti in un piccolo paese nelle montagne orobiche a 1800 metri di altitudine senza un adeguato abbigliamento. Il passare dei mesi, l’isolamento e un futuro senza speranza convincono Mohamed, malgrado il freddo, ad incamminarsi oltre le montagne sperando di riuscire nell’impresa che rese famoso Annibale con in suoi elefanti (anche se uno solo sopravvisse). In quell’impossibile avventura il racconto di Mohamed si fa confuso, la sua coscienza non è più integra, il pensiero è vittima del trauma psicologico, dello stress cui è stato sottoposto da quando si è imbarcato. La sua mente diventa un’incubatrice di ricordi, esperienze, desideri irrisolti, incubi onirici fino a quando il freddo gli congela il sangue. In questa lotta ancestrale con l’elemento Mohamed, scrive Lina Prosa, ci rappresenta tutti, è l’epitome dell’uomo che lotta per la sopravvivenza.

Federico Lima Roque è lo straordinario interprete la cui agonia dovrebbe renderci consapevoli delle tremende responsabilità che l’Europa si assume mostrando i denti feroci agli “ultimi, ai diversi”. Certamente il problema di come affrontare questa migrazione che, stando alle previsioni si può chiamare epocale, fa tremare i polsi, è grande, difficile, complesso, ma una soluzione dobbiamo trovarla per evitare che la storia ci accusi di una odiosa forma di apartheid.

Scene, luci e immagini sono curate da Paolo Calafiore, i costumi sono disegnati da Mela Dell’Erba e la regia è diretta dall’autrice Lina Prosa.

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