Direttore: Roman Brogli-Sacher
Coreografie: Renato Zanella riprese da Gaetano Petrosino
Apollon musagète
Musica di Igor Stravinsky
Primo ballerino ospite: Mick Zeni
Primi ballerini: Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli, Amaya Ugarteche, Evghenij Kurtsev
L’oiseau de feu
Musica di Igor Stravinsky
Primi ballerini: Alessia Gelmetti, Amaya Ugarteche, Antonio Russo
Orchestra, Corpo di ballo e tecnici dell’Arena di Verona
Direttore allestimenti scenici: Giuseppe De Filippi Venezia
————

Serata Stravinsky vede impegnato per ben cinque repliche il Corpo di ballo dell’Arena di Verona in due classici del Novecento, l’Apollon musagète e L’oiseau de feu. Anche nel balletto c’è chi già a suo tempo ha detto tutto, rendendo ogni nuova lettura inarrivabile. Balanchine è uno di questi. La sua coreografia per l’Apollon musagète europeo, approntata per la prima dei Ballets russes a Parigi il 12 giugno 1928 sotto la direzione del compositore stesso, fa uscire sconfitto dal confronto qualsiasi tentativo successivo. A servizio d’una struttura tradizionale (pas d’action, variations, pas de deux, coda), Balanchine dispiega linearità, chiarezza formale e pulizia per raggiungere una percettibile uniformità, sospinto dalla musica all’eliminazione del superfluo. Il tema, frequente nei ballets de cour seicenteschi, celebra l’aggiogarsi delle Muse al potere d’Apollo protettore delle arti. Avete presente di cosa parlo? Penso alla chiusa del pas de deux, con i due ballerini che costruiscono in cambré un’unica figura; penso alla corsa concitata del carro solare tra relevés arabesque e developpés; penso all’ultimo gruppo dell’Apothéose, ove le Muse, con arabesques a diverse altezze e assieme alle braccia del dio, simulano i raggi dell’astro infuocato. A Verona si perde l’occasione per assistere a tale miracolo. Riccardo Zanella infatti pecca di hybris, inventando una coreografia dal linguaggio vuoto di idee. In primis, stravolge il senso del balletto: se musagète è colui che guida le Muse al Parnaso, Tersicore in testa, erroneo è subordinare Apollo ad esse e renderlo unico eletto al monte divino. Diversamente dalla prassi esecutiva in vigore dal 1979, Zanella ripristina il prologo, risolto con un’agitazione convulsa autoreferenziale, e introduce ex novo gli Echos, presenze superflue giustificate solo per utilizzare il resto della compagnia. Così facendo, contravviene al carattere peculiare dell’Apollon musagète, commissionato dalla mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge con ordini precisi, quali il numero limitato di ballerini e la breve durata. Infine, fa sparire gli attributi iconografici delle Muse (tavoletta, maschera e lira), delegandone l’identità a costumi generici, e confina le tre protagoniste dietro a colonnine riproducenti opere di Nitsch, Richter e Attersee, dettagli che quasi nessuno in sala arriva a comprendere. I troppi contrasti del décor cozzano quindi contro la semplicità che Stravinsky e Balanchine desideravano per questo ballet blanc. Mera soddisfazione, in tale marasma, poter godere della bravura di Mick Zeni, Apollo perfetto seppur costretto in una mise orrenda che poco ha di divino, slip e canotta. Zeni atterra come piuma, a differenza d’alcune colleghe che non esitano a far sentire il peso sulle assi. Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli, Amaya Ugarteche, nell’ordine Calliope, Polimnia e Tersicore, si confermano ballerine di talento, seppur adombrate dalla coreografia zoppicante.

Su L’uccello di fuoco non si possono che spendere invece parole d’elogio. Assai suggestivo il grande acquerello di Bakst, costumista alla prima del 25 giugno 1910, dietro e davanti al quale si dipana tramite giochi di trasparenze la novella russa di Fokin. Ci sono l’albero, il pomo d’oro, la gabbia, l’uovo di Kascej e nel complesso il pezzo risulta assai armonico, anche nella sua implicita drammaturgia. Sensuali le principesse dai lunghi kimoni, capeggiate dalla brava Amaya Ugarteche, mentre meno riusciti sono Kascej (Pietro Occhio) e i suoi adepti, sinistri monaci incappucciati affidati a passi piuttosto convenzionali, palesi nella Danza infernale. Espressiva e versatile Alessia Gelmetti, uccellino spigliato nei grand jeté e abile en pointe, al pari del virile principe di Antonio Russo.
L’Orchestra dell’Arena di Verona diretta da Roman Brogli-Sacher è in stato di grazia. La serenità quasi trascendentale dell’Apollon musagète rivive attraverso il gusto del direttore per il fraseggio sovente elegiaco, disciplinato, quasi pitagorico. Parimenti convincente la concertazione della seconda parte, dove ai ritmi serrati della partitura, ben evidenziati dal maestro, si alternano trascinanti melodie ispirate al folklore russo.
Applausi calorosi da parte dello scarso pubblico del sabato pomeriggio.