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Belcanto. The Luciano Pavarotti Heritage

fotoLa voce di Luciano Pavarotti dà il benvenuto al pubblico in platea mentre sul palcoscenico la luce è puntata sulla sciarpa e il panama bianchi appoggiati su una sedia.

Inizia così uno show immaginato in tutta la sua opulenza dal geniale e creativo artistic director Franco Dragone, che dal 2013 riscuote applausi dopo il debutto al City Center di New York, presentato anche al Festival di Spoleto. Adesso inaugura la stagione estiva dell’Eliseo partendo da Roma per un nuovo tour che toccherà Germania, Austria, Francia e Turchia.

La Fondazione Luciano Pavarotti, la cui finalità è valorizzare giovani talenti lirici, ha selezionato i dodici cantanti che si esibiscono accompagnati dalla Belcanto Ensemble, diretta dal maestro Pasquale Menchise, presente in scena dietro una quinta. Sette ballerini effettuano intermezzi con le danze di Vittorio Biagi dalla forte suggestione coreografica, accentuata dai costumi di Giuseppe Tramontano che stendono pennellate di colore.

Lo spettacolo segue la via indicata dal grande tenore modenese che ha fatto uscire questo stile vocale, il belcanto di tradizione appunto, dalla torre d’avorio di un pubblico di cultori e appassionati estimatori, portandolo nelle piazze ed esponendolo a contaminazioni con la musica contemporanea, coinvolgendo folle oceaniche come si vedono nei concerti delle rockstar.

La performance di questi promettenti artisti dipinge un idillio musicale delineato con spumosa leggerezza dal regista Gianfranco Covino, che si rivolge a un pubblico teatrale, anche non particolarmente esperto di musica lirica, ma attratto dai motivi di arie entrate a far parte del patrimonio musicale collettivo. I cantanti esprimono una sinergia di interpretazione in cui ciascuno è protagonista e, nel contempo, elemento di un collettivo che disegna nel complesso l’affresco di un’epoca che passa dal rinascimento al barocco, dall’opera buffa ai sommi compositori italiani, dall’operetta austriaca e francese al musical americano, con incursioni nella canzone napoletana e nei brani d’autore quali Modugno e Dalla, per giungere ai Queen di Freddie Mercury, eseguiti con i canoni stilistici del bel canto italiano, lo stile vocale nato nel rinascimento che ha trovato forme espressive diverse come la musica sacra, la musica barocca e il melodramma, influenzando tutto l’orientamento musicale europeo.

Dopo gli sbandieratori di Lorenzo Caiola di Città della Pieve, sul fondale appare un balconcino con una bifora veneziana mentre si diffondono le note di Orfeo: Toccata e Deus in adjutorium di Monteverdi, cui seguono Ombra mai fu e Halleluja di Haendel. L’opera buffa del ‘700 arriva in scena con Lo frate ‘nnammurato di Pergolesi, Largo al factotum di Rossini dal Barbiere di Siviglia e Una furtiva lagrima di Donizetti da L’elisir d’amore. Si approda all’Ottocento, ed ecco l’omaggio a Giuseppe Verdi col brano strumentale I vespri siciliani e le arie Caro nome, La donna è mobile, Bella figlia dell’amore dal Rigoletto e Libiamo dalla Traviata. La prima parte si conclude con la musica di Puccini, il balletto sul brano strumentale E lucevan le stelle dalla Tosca e proseguendo con i recitativi O mio babbino caro da Gianni Schicci, Un bel dì vedremo di Madame Butterfly, Recondita armonia tratto da Tosca, Oh soave fanciulla aria dalla Boheme e Padre Augusto dalla Turandot.

La seconda parte offre in apertura il brano strumentale della Tarantella di Rossini proseguendo con una suite Napoli con Core n’grato, Torna a Surriento, Funiculì Funiculà, per virare poi verso l’operetta, il musical con West Side Story di Bernstein, i Queen, Nel blu dipinto di blu di Modugno, Caruso di Dalla, che pungolano la nostalgia per i grandi concerti popolari di Pavarotti che chiamava accanto a sé le rockstar italiane e internazionali condividendo sul palco l’interpretazione dei loro successi.

Le belle voci dei quattro soprano, due mezzo-soprano, quattro tenori e due baritoni hanno riscosso applausi a ogni interpretazione, mentre i danzatori hanno raffigurato con sinuose e aeree coreografie le versioni strumentali.

Nel finale, gli artisti sul palco con panama in testa e sciarpe variopinte al collo cantano Nessun dorma, alle cui voci si sostituisce quella del tenore che, nel video proiettato sul fondo, emette il suo famoso do di petto, congedandosi dal suo pubblico insieme a tutti i cantanti, ballerini e musicisti festanti.

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