giovedì, Marzo 28, 2024

Area Riservata

HomeOperaCaracalla 2016, il Nabucco di Verdi fra simbolismo e realismo

Caracalla 2016, il Nabucco di Verdi fra simbolismo e realismo

Foto di Yasuko Kageyama
Foto di Yasuko Kageyama

Simbolico, ma al tempo stesso realistico: il Nabucco di Verdi che ha aperto la stagione lirica delle Terme di Caracalla 2016 con la firma del giovane Federico Grazzini, piace e continua a convincere il pubblico anche in una serata che ha riservato qualche sorpresa.

Luca Salsi (lanciatissimo proprio dal Nabucco diretto da Muti all’Opera) atteso come Nabocodonor è stato sostituito all’ultimo momento dal tenore Sebastian Catana (del secondo cast) e la pioggia ha minacciato per ben volte l’allestimento: alla fine tutto è filato liscio e lo spettacolo è stato portato a casa dopo tre ore e quattro atti.

Il regista aveva parlato chiaramente di un allestimento diacronico: l’idea portante è non solo quella di conciliare uno spettacolo popolare, ma di alto livello artistico, ma anche di staccarsi in un certo qual modo dal libretto.

L’idea è stata quella di partire proprio dalle rovine di Caracalla per suggerire un messaggio di speranza: sul palco si collocano per tutto l’arco dell’opera delle finte rovine (grandiose e tetre di Andrea Belli) che evocano un passato di terrore e devastazione e che suggeriscono, rappresentandolo in scena, un conflitto universale quello tra gli oppressi e gli oppressori che si sviluppa in ogni tempo e in ogni luogo. Un allestimento “diacronico” come aveva sottolineato Grazini che attraversa il tempo e lo spazio offrendo una chiave di lettura universale a una storia ciclica di oppressi e di oppressori, in questo caso ebrei e babilonesi.

E se la schiavitù torna ciclicamente in diversi momenti storici è pur vero che non si tratta di una semplice attualizzazione, ma di un discorso più ampio che non può essere in nessun modo limitato.

Ecco perché tutto appare in bilico fra passato, presente e futuro (perché l’oppressione è ciclica) e perché i costumi (tetri di Valeria Donata Bettella) non possono essere identificati in un periodo storico preciso (con l’esercito che sembra arrivare dal futuro) offrendo una lettura simbolista.

Il realismo resta eccome perché diventa poi quasi impossibile non pensare ai campi di concentramento equiparando gli ebrei del VI secolo a.C. oppressi dal Re babilonese Nabucodonosor agli ebrei dell’Olocausto quando il coro intona il celeberrimo e solenne Va’ pensiero in un vero e proprio campo di prigionia dietro le sbarre con lo sguardo perso dimesso a rimpiangere la patria perduta e l’agognata libertà.

Intendiamoci: non c’è alcuna deviazione eccessiva della drammaturgia perché Grazzini è rimasto tutto sommato fedele a un certo di tipo di regia tradizionale compresi i movimenti scenici, la rilettura del libretto appare un po’ forzata perché il regista ha concentrato l’azione sull’evoluzione di Nabucco, dall’ambizione alla follia e dalla follia alla conversione, ma eliminando del tutto l’intervento divino (vedi il fulmine) che lo punisce per la sua superbia e sostituendolo con un gesto violento dell’ambiziosa figlia Abigaille.

Ora, si capisce che l’allestimento sia al di là del tempo e dello spazio, ma una visione del genere non può non stridere almeno un po’ in un libretto dove pullulano sacerdoti, appelli alle divinità, solennità e quando altro riducendo tutto al libero arbitrio umano.

Un po’ decontestualizzati e gratuiti i movimenti coreografici Marta Iagatti mentre le luci di Alessandro Carletti e i video di Luca Scarzella proiettati sulle alte torri laterali (a richiamare l’incendio del tempio o a suggerire l’orrore del pogrom) contribuiscono a creare un clima tetro e visionario che rispecchia il dolore dell’oppressione.

La parte del leone è stata del Coro, bravissimo e intenso, preparato dal maestro Roberto Gabbiani e ben collocato in scena dal regista e il cast è stato duttile e all’altezza della situazione dal convincente Nabucco di Sebastian Catana alla superba Abigaille di Csilla Boross, all’autorevole Zaccaria di Vitalij Kowaljow fino alla comprensiva Fenena di Alisa Kolosova e all’Ismaele del tenore Antonio Corianò ben orchestrati dal direttore John Fiore al suo debutto per un’opera all’aperto. Applausi, applausi e ancora applausi per un’opera che piace sempre e convince il pubblico delle Terme di Caracalla. Ultime repliche, in alternanza con Il Barbiere di Siviglia e Madama Butterfly, sabato 30 luglio, martedì 2, venerdì 5 e martedì 9 agosto (con la direzione del maestro Donadio).

RELATED ARTICLES

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Most Popular