Le tragedie di Shakespeare si possono dividere per due grandi temi: il potere e l’amore.
Di potere raccontano Giulio Cesare, Riccardo III, Macbeth… D’amore, Romeo e Giulietta, Otello, Amleto. Certo, la bi-partizione non è così semplice e schematica: in Amleto c’è un gioco di potere assassino e sanguinario; Macbeth, senza l’amore tra i due coniugi non sarebbe Macbeth… Però, in nessuna delle tragedie del Bardo il legame tra questi due demoni è così compenetrante come in Re Lear.
Lear. La storia è un lavoro che nasce dal testo shakespeariano e ne rispetta fedelmente la vicenda. Mostra vere e proprie punte di virtuosismo nella recitazione di tutti gli attori (gusto di chi scrive, impagabili le prove di Mariano Rigillo, Sebastiano Tringali (Gloucester) e David Coco (Edmond); e nel rispetto per la parola shakespeariana (non c’è un termine fuori posto o lasciato al caso dal lavoro di drammaturgia/regia/espressione). Però, una volta presentati Shakespeare e la sua tragedia, comincia il lavoro teatrale di Giuseppe Dipasquale.
Re Lear diventa uno specchio da infrangere in una miriade di pezzi. Ogni scheggia racconta di Re Lear, ma riflette altre opere shakespeariane.
Lo spettacolo è affidato ad una compagnia quasi esclusivamente maschile: uomini sono anche le figlie maggiori di Lear (Goneril, Roberto Pappalardo; Regan, Luigi Tabita). Da Lear, quasi senza che lo spettatore se ne accorga, si passa così a Giulio Cesare, ma lo spettacolo regge. Anzi, diventa più curioso e originale. Le parole delle figlie traditrici ancora più subdole e asettiche. Il regno di Lear ancora più in bilico. Lear non è più Lear, è Giulio Cesare, appunto, che si tiene sotto l’ala protettrice Bruto e Cassio; è il Re Amleto, che scambia le spire della moglie per carezze.
Due sono i ruoli ricoperti da donne: Cordelia (Silvia Siravo), la figlia che rinuncia al potere, e per questo viene tacciata di tradimento e ripudiata; il Matto (Anna Teresa Rossini). L’amore e la follia. Passioni candide, calde. Che muovono i bambini e i vecchi. E, anche in questo caso, la scelta premia. Il Re Lear di Rigillo è un vecchio bambino capriccioso che tenta chi gli sta affianco. Scalpitante e crudele con chi gli vuole più bene (Cordelia e Kent). Lo spettacolo si apre con una vestizione in bilico tra la culla e la bara. E Re Lear diventa Otello, che scambia l’affettuosa fedeltà di Desdemona, per tradimento ricoperto di miele; diventa Amleto, che scaccia fino alla fine l’amico/grillo parlante Orazio.
Quelle di Re Lear. La storia sono tre ore di spettacolo in continua tensione tra la citazione e la fedeltà. È un gioco teatrale che blocca il pubblico sulle poltrone del Franco Parenti e non lascia tregua per distrazioni, colpi di tosse o suonerie di cellulare. Sul palco c’è la tragedia, in sala il silenzio.
La compagnia e numerosa e armonica, ma Mariano Rigillo svetta su tutti. Del resto, si dice di Re Lear
«Lui si è creato la sua inquietudine e ora gli tocca saggiare la sua follia»
e proprio l’inquietudine regna sovrana in scena. Inquieti sono i colori e l’intera scena in vedo/non vedo; inquieta e folle la recitazione di Regillo, così grandiosa da essere essa stessa la vera scenografia su cui si muovono e recitano tutti gli altri attori.
Da vedere. Assolutamente.
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LEAR. LA STORIA
di William Shakespeare
Traduzione Masolino D’Amico
con Mariano Rigillo
e con Anna Teresa Rossini, Sebastiano Tringali, David Coco, Filippo Brazzaventre, Silvia Siravo, Giorgio Musumeci, Luigi Tabita, Ugo Bentivegna, Enzo Gambino, Roberto Pappalardo.
Opere in scena e Costumi: Angela Gallaro
Musiche: Germano Mazzocchetti
Movimenti Scenici: Donatella Capraro
Adattamento, scene e regia: Giuseppe Dipasquale
Produzione Teatro Stabile di Napoli