di Cristina Comencini
con Giulia Bevilacqua, Caterina Guzzanti, Giulia Michelini, Paola Minaccioni
regia Paola Rota
produzione Artisti Riuniti
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Serata fredda, si va volentieri a teatro, luogo ideale per incontrare gente interessante, per conversare e, ovviamente per assistere e partecipare ad uno spettacolo che è sempre nuovo, pur nella sua ennesima replica. È questa “l’unicità” del Teatro! E nel suo essere irripetibile si vivifica con la linfa dello spirito di critica e di pubblico. Ed è sempre ogni volta diverso!
Stasera siamo incuriositi dalla proposta in cartellone, tutta al femminile, scelta coraggiosa del direttore artistico, che ha osato inserire spettacoli un po’ diversi (nel senso del problematico e profondo senso del vivere) all’interno di una collaudata stagione di talenti comici.
Si sa, ormai da tempo, che il pubblico vuole ridere! E allora farlo pensare… senza che se ne accorga?
Con Dario Fo si rideva a crepapelle, non di meno si veniva informati di fatti e di misfatti: la metafora, l’iperbole, lo sghignazzo dilatavano la realtà rendendola paradossale.
Il fascino della comunicazione è ampiamente riconosciuto ma niente come il Teatro ha il potere di penetrare dei meandri più reconditi del proprio vissuto. Il pubblico viene investito da tempeste emozionali, e poche volte ne è consapevole. Un pulviscolo invisibile di vibrazioni volando sull’onda arriva fino all’ultimo posto in fondo alla sala.
È sempre magico il momento in cui si abbassano le luci, ci si accomoda in poltrona e si attende l’apertura del sipario, come del resto diceva il grande Federico Fellini. Tutto può accadere! È la magia del Teatro! Un fremito attraversa la sala e si comincia.
Una grande parete con una porta centrale, che delimita due epoche diverse unite dal vincolo esistenziale di un cordone ombelicale che non si riesce a recidere mai del tutto.
Quattro donne entrano in scena da angoli diversi, indossano un impermeabile scuro, si guardano e poi escono mentre la parete, girando su se stessa, diventa ambientazione di un salotto anni sessanta, anzi, come si chiamava allora “un tinello”. Un tavolo, quattro sedie e quattro donne che subito si evidenziano nelle loro caratteristiche. Sono simili, sembrano felici ma in fondo chi lo è davvero?
È una festa per gli occhi! Carta da parati colorata, abiti d’epoca, pettinature cotonate, una scamiciata premaman per Beatrice, giovane sposina in attesa del primo figlio, (un bimbo o una bambina?) un tuffo nel passato, l’atmosfera di pomeriggi trascorsi in casa a giocare a carte e a bere il tè con le amiche, mentre nella stanza accanto le bambine giocano a fare le mamme, ritagliando dalle riviste gli abiti della principessa Grace di Monaco.
Per molte delle signore in sala è un ‘déjà vu’.
Le quattro amiche si incontrano ogni giovedì e parlano, giocando a carte. È un’alternanza continua di scambio di ruoli, vengono alle labbra brandelli di verità, ognuna racconta desideri e frustrazioni della propria vita domestica, mentre le altre, a turno ascoltano, incoraggiando, giudicando, consolando, abbracciando. Sembra il rinnovato suggello di un patto di ‘Sorellanza’.
Nessuna di loro lavora fuori casa e vivono la condizione di casalinghe, seppur nella evidente agiatezza economica, tra esigenze inconfessate e desideri inappagati.
Nella prima parte Beatrice (Giulia Michelini) è una sognatrice che divora libri e ha sposato un uomo che le scrive lettere invece di parlarle. E qui è stridente il contrasto tra la parlata, esagerata, del dialetto, la gestualità tipicamente polare e l’anelito cultural poetico del personaggio. Solo una sfumatura che riesce però a far divertire il pubblico.
Claudia (Paola Minaccioni) sembra felice nel suo ruolo di perfetta madre di tre figli e la accomodante moglie di un marito che la tradisce.
Gabriella (Giulia Bevilacqua) è una donna frustrata che per la famiglia ha sacrificato la sua carriera da musicista.
Sofia (Caterina Guzzanti) madre di una figlia indesiderata e moglie di un marito che disprezza e che tradisce, è ribelle e pronuncia frasi ad effetto per scandalizzare le altre mentre racconta la sua versione dei fatti. “Ma come sei triviale!” a cui segue “E poi? Dai continua”.
Femminismo o femminile? Ci sono stati anni in cui le due parole erano in netta contrapposizione, ma poi entrambe sono state fagocitate nell’abituale progresso storico.
Quant’è difficile sintetizzare in poche parole un movimento che, cavalcando esigenze e malumori, frustrazioni e ambizioni, ha posto le basi di un rivoluzionario cambiamento della nostra società.
“Le due partite” ha il pregio, fra l’altro, di riportare la discussione su temi che non sono più cronaca ma non ancora storia.
Nei gruppi femministi di autocoscienza si scavava in profondità e la psiche, nei suoi turbamenti veniva girata e rigirata fino all’esaurimento. La capacità di parlare e di mettere a fuoco i problemi ha avuto una lunga gestazione, perché prima, come appunto nel primo tempo dello spettacolo, le donne parlavano fra loro ma solo per sfogarsi senza mai porre l’attenzione sulla possibile risoluzione dei problemi.
Poi tutto è cambiato e la società si è trovata a far fronte ad una nuova generazione di donne, che non aveva più voglia di subire ma di uscire di casa ed affrontare il mondo del lavoro e tutto ciò che ne derivava in conseguenza.
Gli uomini, assenti in scena, ma pur presenti nei discorsi e nelle motivazioni e nelle frustrazioni, sono sempre padroni, non necessariamente dispotici, ma sicuramente proprietari delle cose, delle persone e del denaro. La vera emancipazione doveva quindi passare dal mondo del lavoro.
E nel secondo tempo le quattro donne lavorano.
La maternità è il tema centrale del primo tempo e il gioco delle carte viene continuamente interrotto dalle urla di dolore delle doglie in arrivo. E mentre sta per nascere la nuova creatura, la parete si gira e presenta un ambiente diverso. Sono passati 30 o 40 anni e sono le figlie ad incontrarsi per il funerale della madre di Giulia, Beatrice che si è tolta la vita propria come la madre prima di lei, per la solitudine. Ed è questo il punto centrale del secondo tempo.
Si ritrovano e si confidano parlando di come e di quanto siano state influenzate dalle mamme. Le riconosciamo un po’ per volta, perché sono interpretate dalle stesse attrici e per ciò che raccontano. Sono professioniste, autonome, volitive ed indipendenti ma non per questo più felici.
Sofia, Beatrice, Claudia e Gabriella le mamme e Rossana, Cecilia, Sara e Giulia le figlie conoscono tutte il senso di vuoto della condizione ‘di donna’ che non ha ancora trovato la giusta collocazione nella società.
Quattro amiche, quattro personalità che vengono ben tratteggiate da quattro brave attrici: Giulia Bevilacqua – Caterina Guzzanti – Giulia Michelini – Paola Minaccioni
Testo interessante della Comencini che ne ha firmato anche la regia in una prima versione teatrale del 2006 e ha curato la sceneggiatura del 2009 del film diretto da Enzo Monteleone.
Libro, film, spettacolo. Tre diversi formati per un’unica scrittura.
La regia di questo nuovo allestimento, firmata da Paola Rota ne conferma l’attualità, anche se qualcuno uscendo da teatro ha detto: “Questo gli uomini non possono capirlo!” Si ritorna alla antica diatriba della diversità di genere.
Al centro della poesia di Rilke che nel primo atto Beatrice non fa in tempo a leggere alle amiche, e che leggerà sua figlia Giulia nel finale, c’è la questione dei sessi, il sogno di considerarsi un essere umano e non un maschio o una femmina. Già Sofia lamentava: «ma dobbiamo ancora parlare di maschi e di femmine, non potremmo parlare di persone?».
E anche stavolta la magia del teatro ha funzionato!
Applausi convinti.