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Edipo Re – Edipo a Colono

Al Teatro Eliseo di Roma fino al 12 febbraio 2017

Foto di Andrea Pacioni

Due testi scritti a distanza di vent’anni che affrontano due periodi della vita di un uomo, due generazioni di registi che si confrontano sulla loro rappresentazione con due visioni drammaturgiche ed estetiche, un solo autore, Sofocle, un solo personaggio, Edipo.

Il dramma di un uomo, condannato a un destino ineluttabile di sciagure e infelicità, che cerca spasmodicamente la verità e si autoinfligge una terribile punizione, ritenendosi responsabile delle sue azioni, è il dramma dell’Uomo perennemente alla ricerca delle origini, che usa il proprio discernimento per operare delle scelte ma è anche, inesorabilmente, soggetto all’imponderabile fato.

Il “ciclo tebano” comprende Edipo Re scritto intorno al 425 a.C. che narra le vicende del giovane re che ha sposato Giocasta vedova di Laio dopo aver risposto all’enigma della Sfinge. Saputo dall’indovino Tiresia di essere il parricida e aver generato figli con la madre, si acceca mentre la regina si impicca. Edipo a Colono, scritto nel 406 e rappresentato postumo nel 401, narra del volontario esilio di Edipo che trova ospitalità alla corte di Teseo ad Atene, dove viene coinvolto nelle lotte fratricide tra i figli maschi e affida la sua fine al volere degli dei.

La vicenda di Edipo, da Aristotele nella Poetica definita tragedia esemplare poiché il personaggio compie atti esecrabili per errore e non per intrinseca malvagità, ha ispirato a Sigmund Freud la teorizzazione psicanalitica del complesso edipico nello sviluppo emotivo infantile.

Glauco Mauri e Roberto Sturno tornano a distanza di alcuni decenni a riproporre questo mito, in un allestimento che lascia spazio al contributo di una moderna visione interpretativa dei testi classici secondo canoni di estetica contemporanea.

Infatti, il taglio registico di Andrea Baracco in Edipo Re opta per un’ambientazione cupa e notturna che evoca periferie metropolitane degradate, dove si aggirano oscuri figuri vestiti di nero, sotto una pioggia battente che crea profonde pozzanghere melmose in cui tutti affondano e da cui affiorano disarticolati bambolotti. Nella tetra scenografia la reggia sembra la fiancata di una nave corrosa e arrugginita immersa nei fondali marini, da cui emerge Edipo, un Roberto Sturno sopraffatto dai dubbi che l’indovino Tiresia (Mauri) trasforma in demoni incombenti. In abito da sera la Giocasta di Elena Arvigo, con una recitazione poco adeguata al personaggio. Il Creonte di Roberto Manzi sembra un gangster anni Cinquanta, il coro della tragedia greca è concentrato in un unico personaggio interpretato da Ivan Alovisio, il messo è Giuliano Scarpinato. Suscita qualche perplessità un microfono a tratti calato dall’alto per rivolgere ammonimenti al pubblico. Sembrano tutti calamitati dalla pozza d’acqua dove sguazzano forsennatamente, con una recitazione molto fisica e quasi urlata.

Una tragedia classica che vira in un dramma borghese a fosche tinte. Suggestiva l’immagine finale della morte di Giocasta che scende agli inferi con una lunga sciarpa al collo che si srotola, mentre Edipo si acceca.

Il sipario si riapre su una scenografia candida e minimalista, con i personaggi del coro incappucciati in bianchi mantelli. Entra il vecchio Edipo (impersonato da Mauri, che cura anche la regia) accompagnato dalla figlia Antigone (Arvigo), e si lascia cadere su una serie di cubi sovrapposti sopraffatto dagli anni e dalla sventura.

Asciuttezza e coralità di recitazione: i membri del coro, liberatisi dai mantelli, si tramutano in Teseo (Scarpinato), Creonte (Mauro Mandolini), Polinice (Alovisio) e il messo (Sterno). Edipo sorretto dalle figlie (Laura Garofoli è Ismene) dirime la contesa tra gli eredi maschi, dopodiché si incammina verso il suo epilogo.

Dal nevrotico Edipo di Sturno di una decadente apocalisse metropolitana rappresentata con artifici registici che amplificano l’enfasi recitativa, alla staticità regale di Mauri in cui il vecchio re cieco è simbolicamente avvolto dalla luce abbagliante della catarsi. Una prova magnifica di Glauco Mauri interprete e regista che concede al suo Edipo di non uscire completamente di scena, facendolo soffermare, mentre si avvia al boschetto sacro alle Eumenidi, all’angolo del palcoscenico per ascoltare quel che si dice di lui e poi chiudere il sipario.

Le musiche di Germano Mazzocchetti virano dal classico al moderno assecondando la messinscena, le scene e i costumi sono di Marta Crisolini Malatesta.

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