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Il prezzo

In scena al Teatro Verdi di Salerno dal 23 al 26 febbraio 2017

di Arthur Miller

traduzione di Masolino D’Amico

con Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Alvia Reale, Elia Schilton

Scene Maurizio Balò

Costumi Gianluca Sbicca

Luci Pasquale Mari

Direzione artistica Umberto Orsini

regia Massimo Popolizio

Una Produzione: Compagnia Orsini

Durata: Un’ora e 45 minuti senza intervallo

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Grigio. Metallico e uniforme. La scena è opprimente nella sua glaciale essenzialità. Un vecchio giradischi suona una musica anni ’30. Victor (un eccellente Massimo Popolizio) si aggira, quasi divertito e spensierato, in quello che si intuisce essere stato un ambiente a lui molto familiare, e si muove a ritmo di musica con una grottesca leggerezza in netto contrasto con la severità di una mastodontica arpa avvolta da drappi polverosi.

Ci si sente schiacciati dall’altezza dei mobili accatastati lungo la parete sinistra, ricoperti da teli che nascondono ricordi e segreti di una famiglia ormai disgregata. Si intravedono sedie, un comò, un lungo tavolo rettangolare appoggiato in verticale. Ed è appunto così, in verticale ,che si sviluppa la scena e la vicenda. Una tremenda e profonda frattura verticale separa due fratelli che non si vedono da sedici anni, tempo in cui hanno maturato e coltivato rancori e rabbia, frustrazioni insanabili e cocenti delusioni. Parole non dette o forse non comprese (volutamente?). Quante volte si fa finta di non capire per non affrontare i problemi! Quante volte si nega l’evidenza per non fare i conti con la realtà! Ma prima o poi tutti i nodi vengono al pettine e ci si trova ad un bivio: guardare e vedere? oppure schivare e continuare senza nulla dipanare? perché è oggettivamente più semplice dare la colpa agli altri e al destino anziché esaminare se stessi. Si può raccontare la verità anche da punti di vista divergenti.

Ed è uno dei fili che intrecciano la trama di questo testo “Il prezzo”. Ogni oggetto ha un suo prezzo ed anche ogni persona ? Quale può essere il prezzo del proprio sacrificio? Quale causa può aver innescato la direzione che ha preso la propria vita? Il successo quale prezzo richiede? E così via…. Davvero i fili della umana ragione si intrecciano a volte in maniera così capillare che l’intrigo diventa una matassa inestricabile, difficile a sbrogliare.

Sembra di essere in un capannone, o forse nel cortile di un carcere, in basso. In America. Si sente l’America.

Arthur Miller è stato il drammaturgo statunitense che per oltre sessant’anni ha raccontato l’America attraverso il teatro e il cinema, plasmando personaggi in lotta contro potere, responsabilità personale e sociale, echi delle azioni passate, sensi di colpa e speranza nel futuro.

Umberto Orsini, grande artista, attore che non ha bisogno di presentazioni e da sempre a suo agio con gli antieroi del repertorio contemporaneo, e non solo, così sintetizza trama, forza e significato del testo: «Miller fotografa con spietata lucidità e amara compassione le conseguenze della crisi economica del 1929. Figli di un uomo che ha subito questa crisi, due fratelli si incontrano dopo la sua morte per sgomberare un appartamento di un palazzo che sta per essere demolito, in cui sono accumulati i mobili e gli oggetti del padre. Un vecchio broker è chiamato per stabilirne il prezzo. Emergono le incomprensioni e le menzogne che la paura della perdita del benessere possono esercitare su chi si dibatte nella crisi. Un capolavoro che ci riporta ai nostri giorni, così pieni di incertezze».

L’arrivo della moglie Esther (una convincente Alvia Reale), permette di entrare nella dinamica di coppia e fa da prologo al dialogo col fratello Walter (Elia Schilton perfetto nel suo ruolo disincantato).

L’importanza della scenografia (firmata da Maurizio Balò) si evince dalla energia che ne trasuda.

Si ha la sensazione di essere in basso perché la scala accentua il senso di precarietà e di costante pericolo di caduta. Sembra una uscita d’emergenza e la claustrofobica atmosfera inasprisce il confronto-contrasto fra i due fratelli

Deve essere complicato scendere da quei gradini non protetti ma spalancati nel vuoto, che dall’alto piombano in scena ma il grande attore non conosce limitazioni, anzi approfitta dei limiti che si pone per poterli superare. E quando Umberto Orsini fa la sua entrata scatta spontaneo l’applauso. E’ sempre ed ancora un affascinante istrionico protagonista della scena!

Ed è Gregory Solomon (uno straordinario Umberto Orsini), l’ago della bilancia, irriverente nel suo mercanteggiare il vecchio commerciante che, si scoprirà, è stato chiamato per un puro caso, nella ricerca di un nome da un elenco telefonico stampato dieci o forse anche venti anni prima e non più utilizzato.

«Con la merce usata non si può essere sentimentali», ripete come un mantra Salomon, il novantenne broker, ex acrobata di circo e saggio buffone che ridicolizza il mondo – ma lo conosce bene. commerciante di mobili usati che, virtù rara, sa sorridere alla vita senza arrendervisi.

Uno spettacolo intenso, drammatico nella sua ricerca della verità che anche non potendo risarcire gli anni e gli affanni passati forse potrebbe cambiare il futuro….

Ma non è facile ingoiare il rospo dell’orgoglio ed ognuno rimane sulle proprie posizioni.

E’ forse solo la moglie che riscopre un lato positivo del marito e con ogni probabilità il loro rapporto di coppia continuerà nella tranquilla mediocrità quotidiana.

La recitazione che appare all’inizio forzata e di maniera rivela la sua forza nella equilibrata connessione con il ritmo dell’azione, e si dimostra scelta registica vincente.

Il quadro finale regala momenti di poesia nel ballo delicato e strampalato di uno splendido Umberto Orsini.

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