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“Il malato immaginario” di Molière

Andato in scena il 22 marzo 2017 all’Auditorium Comunale Centro Civico di San Vito al Tagliamento (PN)

Autore: Molière, Ugo Chiti (adattamento)

Produzione: Arca Azzurra Teatro

Attori: Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Gabriele Giaffreda, Elisa Proietti

Regia: Ugo Chiti

Scene: Ugo Chiti (ideazione spazio), Francesco Margarolo (arredi di scena)

Assistente ai costumi: Dagmar Elizabeth Mecca

Luci: Marco Messeri

Musiche: Vanni Cassori

Aiuto regia: Alice Bachi

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Arca Azzurra Teatro costituisce, nel panorama del teatro italiano, un esempio, tra pochi, di compagnia formatasi nella temperie culturale del teatro di gruppo e cooperativistico degli anni ‘70 che ha coerentemente portato avanti fino ai giorni nostri un progetto di indagine sulla lingua e la drammaturgia popolare che partendo dal microcosmo della zona toscana del Chianti fosse rappresentativo di alcuni momenti essenziali della storia nazionale del ventesimo secolo. In questo senso è stato determinante il sodalizio della compagnia con Ugo Chiti, drammaturgo stabile e regista di Arca Azzurra Teatro dai primi anni della sua fondazione, all’inizio degli anni ‘80. Da diversi anni la compagnia ha inaugurato anche un filone di rilettura dei classici più vicini alla propria poetica, che Ugo Chiti riscrive per la scena, come in questo caso, cucendo le varie parti addosso agli attori, avvalendosi della lunga frequentazione e approfondita conoscenza delle loro personalità con un “metodo” non dissimile a quello dei tradizionali “poeti di compagnia”, da Shakespeare a Goldoni.

L’articolato approccio di Arca Azzurra Teatro al Malato immaginario mi sembra riassuma le linee di tendenza fondamentali della tradizione interpretativa della drammaturgia molieriana da un secolo circa a questa parte, valorizzando, in un attento equilibrio, l’aspetto farsesco, quello della commedia satirica (in questo caso nei confronti della classe medica) e quello della commedia di costume che assume a tratti le tinte del dramma borghese. Sotto quest’ultimo aspetto l’adattamento di Chiti, nel complesso fedele e rispettoso del testo classico di cui ha indagato i risvolti umani e culturalmente innovativi, se non rivoluzionari, sottesi alla “poetica del ridicolo” dell’autore francese (non a caso definito da Voltaire un illuminista ante-litteram), ha presentato i maggiori tratti di novità e originalità. Attenuando i tratti narcisistici e regressivi dell’ossessione patologica del protagonista Argante, Chiti ha fatto emergere il lato psicologico-umano del vecchio capofamiglia-despota nelle forme, soprattutto, del bisogno di affetto oltre che di una vulnerabilità e arrendevolezza dovute solo in parte all’ipocondria. Si è di conseguenza modificato il rapporto tra Argante e la seconda moglie Becchina, da cui il primo dipende, ora, soprattutto per la totale fiducia e l’affetto sincero riposti in lei; e di ciò si ha la riprova nel momento dell’amara scoperta della sua ingannevole condotta che causa nell’attempato coniuge una crisi quasi irreversibile e condiziona lo stesso lieto fine. Il matrimonio tra la figlia Angelica e il suo innamorato Cleante, infatti, giunge a compimento ma la trasformazione di Argante in “medico di sé stesso” e il conseguente festeggiamento finale è inficiato dal fatto che il rinsavire del capofamiglia appare legato più che a una recuperata sanità di corpo e di spirito, alla disillusione sulla possibilità di una sua futura felicità domestica ed esistenziale.

L’interpretazione degli attori ha ricalcato la complessiva raffinatezza della messinscena (costumi e arredi di sobria eleganza hanno composto, insieme al disegno delle luci e alle musiche barocche, un quadro scenico in grado di accordarsi alle variazioni d’atmosfera della vicenda familiare) contemperando i modi popolari della comicità, scevra dalla ricerca di qualsiasi facile effetto o ammiccamento (come alcuni stilemi della commedia dell’arte adottati da Molière avrebbero favorito) con l’intensità e la sottigliezza dell’introspezione psicologica. Dimitri Frosali, nei panni di Argante, ha espresso efficacemente il costante, faticoso convivere con un’intima condizione di disagio e sofferenza prima mentale che fisica. Elisa Proietti, nella parte della figlia Angelica e Gabriele Giaffreda, in quella di Cleante, hanno saputo toccare il cuore del pubblico, soprattutto nel duetto cantato, come si conviene alla coppia di classici innamorati nelle loro effusioni d’amore. Giuliana Colzi è stata impeccabile nei panni della serva Tonina: spontanea e naturale nella sua indole popolaresca e al tempo stesso misurata nell’espressione di buon senso e saggezza; nel complesso simpatica e travolgente per la sua sagacia, furberia, impertinenza e buon cuore. Massimo Salvianti, nel tratteggiare i personaggi di Beraldo (fratello di Argante) e del Dott. Diarroicus, ha saputo coniugare la vivacità popolaresca dei modi espressivi con una più meditata riflessività. Lucia Socci nella parte di Becchina e Andrea Costagli in quella del giovane Tommaso Diarroicus hanno fornito ai rispettivi personaggi i necessari tratti di incisività al di là di ogni facile macchiettismo.

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